sabato 7 dicembre 2013

BAUSTELLE 16-12 Udine, intervista BIANCONI

«Non so se un disco sinfonico come “Fantasma” ha rappresentato una svolta. Mi piace pensare che ogni album dev’essere di svolta, altrimenti ci si annoia. In realtà bisogna svoltare sempre, mantenendo il proprio stile e la propria personalità. Cosa non sempre facile...». Francesco Bianconi è il cantante e leader riconosciuto dei Baustelle, il trio di Montepulciano (gli altri sono Rachele Bastreghi e Claudio Brasini) che lunedì 16 torna in regione per un concerto al “Nuovo” di Udine. Il loro “Minimal Fantasma Tour” li sta riportando ancora una volta in giro per l’Italia: stasera sono a Napoli, il 18 a Torino, il 21 a Roma... «Abbiamo scelto di registrare con un’orchestra di sessanta elementi perchè gli archi veri sono più belli di quelli riprodotti con le tastiere. E anche dal vivo stiamo suonando assieme a un quartetto d’archi». Cos’è, il rock non vi piace più? «Tutt’altro. Ma nella nostra musica c’è sempre stata la passione per l’elemento sinfonico, per le musiche da film, anche nei primi dischi. Forse allora non potevamo permetterci l’orchestra d’archi. Diciamo che l’elemento pop-rock, con le chitarre elettriche e la batteria, l’abbiamo messo temporaneamente da parte». “Fantasma” vi ha avvicinato a un pubblico diverso? «Sì, credo che abbiamo rubato qualche ascoltatore al pubblico dei cantautori, grazie a un album che in effetti è un po’ più cantautorale. Non mi piace la parola “adulto”, ma devo ammettere che l’età media in platea si è un po’ alzata, rispetto ai tempi di “Charlie fa surf” e “Colombo”. Insomma, nessuno potrà più dire che siamo una band per ventenni...». Come mai avete ripubblicato “La moda del lento”? «Dopo il nostro debutto nel 2000 con “Il sussidiario illustrato della giovinezza” eravamo rimasti senza contratto discografico. Ma sentivamo di avere ancora molte cose da dire, avevamo il nuovo disco quasi pronto ma senza la possibilità di pubblicarlo. Periodo difficile, insomma». Dunque? «Riuscimmo ad avere dei soldi dalla Bmg, che però non poteva pubblicarlo con il proprio marchio. L’album uscì per un’etichetta satellite nel 2003, vendicchiò qualcosa, finì fuori catalogo, non venne più ristampato, e attraverso un complicato giro di fusioni il master divenne di proprietà della Sony». È meglio di un giallo... «In effetti. Per farla breve, in questi anni molti ci hanno chiesto di rispampare quell’ormai introvabile nostro secondo album, finalmente abbiamo trovato un accordo con la Sony e ora il disco viene ripubblicato: da alcuni giorni è disponibile in cd e in digitale, la prossima settimana esce anche su doppio vinile a tiratura limitata». Richieste dei fan a parte, perchè riproporlo? «Perchè, in un’epoca in cui tutta la musica è disponibile con un semplice clic, ci sembrava incredibile e ingiusto che su quel lavoro fosse sceso il silenzio tombale». Lo trova ancora attuale? «Alcuni brani di quel disco li facciamo ancora dal vivo, dunque sì, lo trovo abbastanza attuale. L’ho riascoltato in questi giorni: lo trovo un buon album, i suoni sono ovviamente un po’ invecchiati. Ma bisogna pensare al fatto che all’epoca eravamo dei ragazzi innamorati delle sonorità elettroniche, con tanta voglia di fare, dire, suonare». Oggi lo fareste diverso? «Certo, sono passati dieci anni. Forse ne faremmo una versione più intima, magari da camera, chissà. Ma arrangiamenti a parte, la sostanza è ancora buona». Come sta la musica italiana? «Bene, ma tutto il sistema sta andando in crisi. Non si vendono dischi, dunque non si investe sulle nuove band, suoi nuovi artisti. In giro c’è buona musica, ma le major vogliono andare sul sicuro, puntando magari sui ragazzi dei talent show». Sui quali che giudizio dà? «Non ce l’ho con i talent. Ma rischiano di far pensare ai ragazzi che la musica in tivù è fatta solo di gente che interpreta brani scritti da altri. Un grave errore culturale. Un De Gregori oggi avrebbe difficoltà a emergere». Fra gli stranieri chi ascolta? «Tante cose. Ultimamente mi piacciono i Tame Impala, un gruppo proveniente dall’Australia. Ma ho apprezzato anche il nuovo disco dei Daft Punk». Prossimo Baustelle? «Dopo questo tour abbiamo bisogno di un po’ di letargo, di silenzio, di fare tabula rasa per ripartire. Diciamo che se dovessi incidere oggi farei un disco senza orchestra. Per una nuova svolta». A Montepulciano ci tornate? «Claudio ha continuato a viverci. Rachele vive a Milano da anni. Io da ancor prima, quando venni qui per fare il giornalista in una rivista. Ma a Montepulciano torno spesso. E forse mi piacerebbe anche tornare a viverci».

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