mercoledì 29 gennaio 2014

DISCHI, NEIL YOUNG, LIVE AT THE CELLAR DOOR

Ci sarà vivaddio un motivo se Neil Young è tuttora - a quarantacinque anni dagli esordi con i Buffalo Springfield, cui seguì prima l’enorme successo con Crosby Stills & Nash e poi quello da solista - uno degli artisti più importanti della scena contemporanea. Uno che a sessantanove anni (compiuti due mesi fa) influenza ancora legioni di musicisti giovani e meno giovani, affascina ancora milioni di appassionati di tutte le età e di mezzo mondo. Il motivo, almeno a nostro avviso, sta nella grande libertà artistica che il musicista canadese ha sempre coltivato, ricercato e preteso in tutto quello che ha fatto in una carriera ormai lunghissima. Ce ne accorgiamo anche in questo suo album, “Live at the cellar door” (Reprise), che è nuovo e vecchio al tempo stesso. Nuovo perchè viene pubblicato adesso, vecchio (ma attualissimo...) perchè altro non è se non una summa delle cose migliori registrate in sei concerti tenuti fra il novembre e il dicembre 1970 (insomma, una vita fa...), al Cellar Door di Georgetown, Washington Dc. Ovvero: un minuscolo club con meno di duecento posti, in cui però registrarono dal vivo artisti del calibro di Miles Davis e Richie Havens. Un posto davvero piccolo, che però crea un’atmosfera unica, quasi intima, anche di complicità fra l’artista sul palco e il pubblico a pochi metri dalla sua postazione. Disco acustico, il cui ascolto ci riconduce come per magia in quella congerie creativa che erano gli anni a cavallo fra i favolosi Sessanta e i creativissimi Settanta negli Stati Uniti. Neil Percival Young, nato a Toronto il 12 novembre 1945, aveva all’epoca appena venticinque anni. Poco più di un ragazzo, da un punto di vista anagrafico, ma un artista fatto e completo a riascoltare la performance qui proposta. Il repertorio è incentrato sui brani degli album “Everybody knows this is nowhere” e “After the gold rush”. Mancano dunque i classici di “Harvest”, l’album che lo consacrò a livello mondiale. Con un’eccezione, però: una versione assolutamente originale di “Old man”, che poi avremmo trovato nell’album citato. Anni quasi psichedelici. Lo si intuisce anche quando Neil Young presenta il brano “Flying on the ground is wrong”, spiegando che parla di droghe e di persone che ne fanno uso, del limite di incomunicabilità che divide le persone che ne fanno uso da coloro che invece si oppongono alle stesse. E dal pubblico parte un’esclamazione di approvazione. Fra gli altri brani: “Tell me why”, “Cinnamon girl” (con l’artista al pianoforte), “Expecting to fly” (dal vecchio repertorio dei Buffalo), “Birds, “After the gold rush” “See the sky about to rain”... Insomma, meglio di molta roba “nuova”.

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