giovedì 30 gennaio 2014

VENDITTI, ritorno al futuro, concerto trieste 11-2

«Ogni volta che torno a Trieste per me è una festa. Penso ai tanti concerti che vi ho tenuto in tutti questi anni. In piazza Unità, a San Giusto, al palasport, al Rossetti stesso. E penso a quel vostro lungomare meraviglioso, al porto vecchio. Ma lo hanno sistemato, finalmente...?» Chiamare Antonello Venditti - che martedì 11 febbraio canta al Politeama Rossetti, a Trieste, terza tappa del nuovo tour “70-80, Ritorno al futuro”, che parte il 3 febbraio da Bologna - per intervistarlo è cosa semplice e difficile al tempo stesso. Semplice perchè dopo oltre quarant’anni di carriera ai massimi livelli è rimasto persona disponibilissima, non è di quelli ai quali bisogna estorcere le domande con il cavatappi, per intenderci. Difficile, quasi imbarazzante, perchè l’uomo conosce la città. Le sue bellezze e i suoi problemi. E dunque la domanda sullla situazione del nostro porto vecchio te la fa lui, subito, probabilmente intuendo già la risposta. Venditti, perchè “Ritorno al futuro”? «Perchè mi sento come un ingegnere pazzo, ho inventato la macchina del tempo, vado avanti e indietro fra i decenni. Essendo trascorsi più di quarant’anni, mi permetto il lusso di tornare indietro sapendo già com’è andata. E mi diverto a ricominciare tutto daccapo. Attraverso le canzoni». Dunque canterà i vecchi classici? «Vecchi ma immortali. Il tour sarà dedicato alle canzoni degli anni Settanta e Ottanta. Ci fermiamo a “In questo mondo di ladri”. Solo la festa finale dell’8 e 9 marzo, a Roma, comprenderà anche brani più recenti». Come le è venuta questa voglia di passato? «Ci sono momenti nella vita in cui il presente diventa passato e il passato futuro. Ed è venuto il tempo in cui la mia storia torna come speranza di non vissuto a riempire la nostra vita. Dico questo perché quarant’anni passati insieme per tutti potrebbero costituire la nostra storia, ma le canzoni che l’hanno rappresentata e che proporrò sono il nostro personalissimo ritorno al futuro». Ha citato “In questo mondo di ladri”. È del 1988... «Già, quattro anni prima di Mani pulite. Non che poi, nei vent’anni successivi, le cose siano cambiate. Paradossalmente, forse, la situazione oggi è addirittura peggiorata». Prosegua. «Molti oramai rimpiangono quelli che c’erano prima. L’ho già detto: sono fuori da ogni logica in qualche modo riconducibile alla politica, ai suoi protagonisti, ai suoi riti, alle sue malefatte. Il livello è molto basso, bassissimo. Già anni fa dicevo che eravamo arrivati alla quinta scelta della classe politica. Ora siamo scesi sotto terra». Renzi? «Premesso che ci vorrà molto tempo per sbrogliare la matassa, dico questo: abbiamo visto dove ci hanno portato i vecchi, diamo fiducia ai nuovi, ai giovani, dunque anche a Renzi. Io sto dalla parte del futuro. Non mi appassiono più agli uomini che rappresentano le idee, ma alle idee ancora sì...». Le polemiche sugli incontri con Berlusconi? «Il mondo è fatto di incontri, la politica ancor di più. Anche Berlinguer incontrava Craxi, nel camper. Anch’io sono andato a cantare per Comunione e liberazione, pur essendo lontano da loro, beccandomi fra l’altro un sacco di critiche. Ma gli incontri fra le diversità non possono che arricchire. E comunque sulla legge elettorale, cioè sulle regole del gioco, devi per forza metterti d’accordo con l’avversario». Va ancora allo stadio? «Qualche volta. Il clima attorno al calcio è peggiorato. Mi ha colpito quanto successo a Bologna, con i fischi e gli striscioni oltraggiosi mentre l’impianto diffondeva la voce di Lucio Dalla che cantava “Caruso”. Fatti vergognosi, che rovinano lo sport. Alcuni dei quali, però, derubricabili a ignoranza e campanilismo». L’Italia è un paese razzista? «Credo di no. Da noi il razzismo vero non è mai esistito, al massimo piccole frange. Episodi di razzismo aumentano quando la situazione economica peggiora, quando i poveri entrano in conflitto con altri poveri, in una penosa lotta per la sopravvivenza. Anche se in altri paesi europei sono più avanti di noi». Per esempio? «Per esempio in Francia, dove l’integrazione è molto avanzata. Dove nero non vuol dire clandestino, ma può essere ed è un termine declinabile con eccellenze nel campo della cultura, dell’arte, della scienza. Non solo dello sport. Da noi siamo indietro di quarant’anni, questo è il punto». Dopo il tour? «Il futuro dovrebbe essere un nuovo album, che potrebbe uscire entro l’anno». L’8 marzo compie 65 anni. «Già, e li festeggio sul palco, a Roma, nel primo dei due concerti finali del tour. Comincio ad avere una certa età, ma non mi lamento. Se non fosse per questo dolore alla spalla, che se dovessi sentire il medico di certo non potrei partire in tour. Ma non lo ascolto».

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