domenica 27 aprile 2014

MAL, dal piper a pordenone

Negli anni Sessanta, giovanissimo, appena arrivato dall’Inghilterra, era l’idolo di (quasi) tutte le ragazze italiane. “Yeeeeh!”, “Bambolina”, “Pensiero d’amore”, “Tu sei bella come sei” sono solo alcuni dei titoli che nelle serate soprattutto estive, in giro per l’Italia, il pubblico continua a chiedergli. Sì, perchè Mal (vero nome Paul Bradley Couling, classe 1944, nato in Galles ma cresciuto a Oxford) l’Italia non l’ha più lasciata. E da una ventina d’anni vive in una bella villa immersa nel verde a pochi chilometri da Pordenone. Con la compagna Renata e i loro due figli Kevin e Karen, rispettivamente di quindici e dodici anni. «Sono contento di vivere qui - spiega l’artista, che ha appena passato la boa dei settanta ma mantiene una forma invidiabile -, dove sono arrivato per amore. Ho conosciuto Renata mentre mi esibivo in un locale di Treviso. Mi chiese di cantare “Furia”. La chiamai sul palco a cantarla con me. Da allora non ci siamo più lasciati. E abbiamo messo su famiglia». Dunque quel brano per bambini, “Furia (Cavallo del West)”, gli ha portato doppiamente fortuna. Anche se è legato anche a un episodio sfortunato. «Il disco - ricorda Mal - era la sigla di un programma tv e mi permise nel ’77 di tornare in vetta alle classifiche di vendita. Ma mi tolse anche qualcosa. Quell’anno mi venne proposto il brano “Bella da morire” per andare a Sanremo. Ma i miei discografici mi convinsero a lasciar perdere: “Furia” aveva venduto un milione e mezzo di copie in poche settimane, il filone sembrava troppo buono per rinunciarvi. Risultato: la canzone finì agli Homo Sapiens, che vinsero il Festival...». Mal, torniamo indietro. Come comincia la sua storia? «Vengo da una famiglia modesta, dopo la guerra erano tempi duri, mio padre faceva il muratore e sognava per me un futuro da elettricista. Lavoro che cominciai anche a fare, alternandolo alla consegna dei giornali. Ma non faceva per me. E non avevo voglia di studiare». La musica? «Erano gli anni Sessanta, c’erano i Beatles e i Rolling Stones. Nei locali da ballo si suonava dal vivo. Al matrimonio della sorella di un amico eravamo tutti un po’ brilli e per la prima volta presi un microfono in mano. Cantai un brano di Gene Vincent con quello che poi, dopo un’audizione, sarebbe diventato il mio primo gruppo: i Meteors». E lei divenne Mal. «Avevo un cugino nel Galles che suonava il basso, si chiamava Malcom, era un po’ il mio mito. Avevo bisogno di un nome originale e orecchiabile, così gli feci questo omaggio che mi portò fortuna. All’inizio mi facevo chiamare Mal Ryder». Il primo contratto discografico? «Con i Meteors, con cui feci i primi spettacoli, suonavamo per hobby. Il lavoro da elettricista lo lasciai quando passai con gli Spirits, che suonavano a livello professionale. Ottenemmo un contratto discografico con la Decca, incidemmo alcuni 45 giri e, proprio come i Beatles, andammo per un periodo a suonare in Germania, ad Amburgo e in altre città. Si suonava anche per sei ore filate...». L’Italia? «Gli Spirits si sciolsero. E formammo i Primitives. Dopo un tour in Norvegia, una sera suonavamo in un locale a Londra, dove fra il pubblico c’erano Gianni Boncompagni e Alberigo Crocetta, proprietario del Piper Club. Ci offrirono di andare a Roma, a suonare nel famoso locale». E voi partiste. «Arrivammo a Roma nell’estate ’66, trovammo il Piper chiuso per ferie, fummo dirottati sul locale gemello di Viareggio. Dopo il primo mese, Crocetta ci chiese di rimanere. E finita l’estate, finalmente debuttammo nel mitico locale di via Tagliamento». Cosa ricorda di quegli anni? «Il grande entusiasmo dei giovani italiani. Tutti volevano la musica inglese, in Italia come nel resto d’Europa. Nei nostri confronti c’era molta curiosità, ci invitavano dappertutto, si respirava molta felicità in giro, per divertirsi bastava veramente poco». E lei diventa una star: Sanremo, i “musicarelli” al cinema, i fotoromanzi... «Ma la musica rimaneva e rimane la mia grande passione. nella mia carriera ho sempre alternato momenti d’oro e periodi di crisi. Anche negli anni Settanta, dopo alcuni dischi poco fortunati, tornai in vetta alle classifiche con “Parlami d’amore Mariù”, una mia versione moderna del classico di Vittorio De Sica. E poi “Furia”, con i suoi pro e contro...». È rimasto in contatto con i Primitives? «Con alcuni. Uno è rimasto a Roma, suona ancora. Un altro purtroppo è morto. E Pick Whiters, il batterista di origini gallesi che avevo coinvolto nei Primitives prima di venire in Italia, ha fatto carriera: era nei Dire Straits con Mark Knopfler». Torna in Inghilterra? «Qualche volta, anche se ormai l’Italia è il mio Paese. I miei genitori non ci sono più, a Oxford ho solo le mie sorelle. Ma non posso dire che l’Inghilterra mi manca. Sono arrivato qui che avevo vent’anni, e qui ho trovato la felicità». Ma l’accento non l’ha perso. «Se impari una lingua da adulto, se hai fatto le scuole in un’altra lingua, l’accento non lo perdi mai». Ha fatto anche un reality. Questione di soldi? «In tv mi chiamano spesso. E so che lo fanno soprattutto per il mio passato. Sono grato alla televisione, che oggi ha un ruolo molto più grande rispetto ai miei anni, quando erano importanti i dischi. Certo, è lavoro. Ma sono contento di aver fatto anche Grease a teatro». Le è rimasto un sogno? «Oggi faccio il padre di famiglia a tempo pieno. Da qualche anno gioco a golf, anche perchè mi piace stare in mezzo alla natura. Ma la musica, ripeto, rimane la mia passione. D’estate faccio molte serate, ogni tanto incido un disco nuovo. Ma è difficile, soprattutto in tempi di crisi, trovare chi non ti chieda solo revival». Dunque? «Dunque il sogno è quello di tornare ancora una volta, come nella mia carriera mi è già successo. Chissà...».

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