domenica 4 maggio 2008

CAPAREZZA


La musica, ma anche il lavoro. L’ironia, ma anche le tematiche sociali. Reduce dal Concertone del primo maggio in piazza San Giovanni, a Roma, Caparezza ritorna a Trieste mercoledì sera per un concerto al Teatro Miela. La sua capacità di parlare dei problemi dell’Italia di oggi, senza prendersi troppo sul serio e rimanendo legato alle tradizioni della sua Puglia, fanno di Michele Salvemini - questo il suo vero nome - uno dei protagonisti più originali della scena italiana attuale. A quattro anni di distanza da quel «Fuori dal tunnel», feroce critica a una comunità devota al divertimento, che paradossalmente divenne un inno di quello stesso mondo messo alla berlina nel testo, e che fu il tormentone dell’estate 2004, ha appena pubblicato il libro «Saghe mentali» e il disco «Le dimensioni del mio caos».

«Libro e disco - spiega Caparezza, classe ’73 - sono strettamente collegati. Un racconto del primo sta infatti all’origine del secondo, che mi piace definire il primo fonoromanzo della musica italiana. È diviso in quattordici audiocapitoli, che banalmente potremmo definire canzoni. E racconta le avventure di una certa Ilaria...».

Prosegua.

«Prima devo fare una premessa. Io nel ’68 non ero nemmeno nato, ma mi sento un riflesso culturale di quel periodo, che troppe persone stanno demonizzando a quarant’anni di distanza. Quello per me fu invece un periodo di utopie giovanili ed entusiasmo, una stagione straordinaria che oggi ha molti detrattori perché ormai siamo in pieno revisionismo».

Diceva di Ilaria.

«Sì, mi sono inventato questo personaggio, una giovane hippie d'allora, che dal concerto romano di Jimi Hendrix al Brancaccio, realmente avvenuto, si ritrova catapultata nella società di oggi subendone il fascino. La sua voglia di cambiare il mondo oggi è puro consumismo e comunità virtuali».

E l’«Eroe» di un altro brano?

«Quella è la storia di Luigi delle Bicocche, un manovale, uno di quelli che non arrivano a fine mese. Uno dei tanti lavoratori sfruttati e malpagati dell’Italia del 2008. L’ho voluto accompagnare con un videoclip strampalato, un po’ dadaista...».

Temi sociali. Ha fatto un «concept album» come quelli degli anni Settanta?

«Più o meno. Nel mondo ideale fantastico che racconto gli episodi sono raccordati da voci di doppiatori professionisti, utilizzate per intermezzi, storie curiose, notizie strampalate su personaggi inventati».

Lei parla di cose serie e si diverte pure...

«Ci provo. Mi piacciono i giochi di parole, amo mischiare tutto per creare un immaginario a 360 gradi: dalle citazioni colte a quelle più infime, formando un calderone che poi, in fondo, credo sia diventato il mio stile, la mia cifra personale di fare musica».

Parla anche della sua regione.

Sì, con ”Vieni a ballare in Puglia” racconto con la musica popolare ciò che di impopolare accade nelle mie terre, dallo stabilimento siderurgico di Taranto che perde milioni di euro e non si capisce perché sia ancora aperto, fino al degrado ambientale diffuso con le tracce di diossina nel cibo».

Un Sud non da cartolina...

«Già. A fronte dell’immagine turistica della Puglia, terra di vacanze dove tutto è bello, sano, naturale, c’è una realtà molto più dura. Fatta di sfruttamento, di braccianti trattati come bestie, di malavita organizzata sempre presente e sempre potente. È quella che io chiamo la ”dark side of Puglia”...».

E poi c’è il dramma avvenuto nella sua Molfetta.

«Nel paese dove sono nato e dove continuo a vivere pochi mesi fa sono morti cinque operai che pulivano le cisterne. Non si sa ancora che cosa hanno respirato. Sono cose che purtroppo avvengono in tutto il Paese, ma quando succedono a casa tua, ovviamente ti colpiscono maggiormente».

Le morti bianche sono state un tema del Concertone del primo maggio.

«È un problema nazionale. Una vera strage. Ogni giorno in Italia muore qualcuno per questi che chiamano infortuni sul lavoro. Ma non si può accettare che una persona perda la vita per problemi legati al profitto, alla sicurezza che non c’è, ai controlli che non vengono effettuati».

Il libro?

«Dischi e concerti evidentemente non mi bastavano più, per soddisfare la mia urgenza di comunicare. Diciamo che volevo provare uno strumento nuovo, senza tradire il mio marchio di fabbrica. Gli aneddoti raccontati sono curiosi, ho usato l'ironia per raccontare un po' di cose e persone. L’ho diviso in quattro parti, in fondo è una sorta di diario, un'antologia di fiabe postmoderne».

Sa che la paragonano a Frank Zappa?

«La cosa mi fa onore. Anche perchè sono un suo patito. Amo molto la sua musica, come anche quella di Jimi Hendrix e dei Led Zeppelin. Tutta roba degli anni Settanta. Chissà, forse sono nato nell’epoca sbagliata...».

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