FOSSATI
In copertina una Cadillac del ’58 che sembra quasi un’astronave. Dentro una manciata di canzoni di qualità, con modalità di registrazione assolutamente all’avanguardia. Ivano Fossati ritorna a tre anni da «L’Arcangelo» e mette ancora una volta d’accordo tutti. Bastano poche note di questo suo nuovo «Musica moderna» (Sony Capitol), una manciata di secondi e riconosci subito la sua eleganza, la sua sobrietà, il suo marchio di fabbrica, le sue storie di vita vissuta.
Il cinquantasettenne artista genovese, indimenticato cantante e flautista dei Delirium, oggi si chiede: come vedevano il futuro mezzo secolo fa, ai tempi di quel macchinone in copertina? E si risponde con saggezza antica: l’idea del domani non può che nascere dalle nostre conoscenze del passato. E la realtà sarà sempre diversa, sorprendente nel bene e nel male, da come l’avevamo immaginata.
Questo concetto, applicato alla società ma anche al privato delle persone, permea tutto il disco. Che è una sorta di tuffo nel futuro, con molti riferimenti che arrivano dal passato. Ma Fossati guarda al presente e al futuro con l'occhio lucido del libero pensatore, del cantautore di razza.
Si parte con «Il rimedio» («una canzone - spiega - di un amore adulto, probabilmente tra due separati, magari con figli. In quel caso la saggezza può essere qualcosa di troppo...»), che ci mette un attimo a metterci in sintonia con l’universo fossatiano. Si prosegue con «Miss America», un reggae dolce e grintoso che racconta la storia d’amore di Luigi: una scusa per parlare della scoperta delle emozioni, degli stati d’animo che può provare una persona quando s’innamora.
«Cantare a memoria» è la tipica ballata alla Fossati, ricca di quei suoni e colori che da sempre caratterizzano i suoi brani migliori. «Il paese dei testimoni» mette a nudo un personaggio «senza memoria, senza vergogna, senza pudore» (e invita a guardare la tivù con senso critico). «La guerra dell’acqua», grido d’allarme sull’incetta delle risorse idriche, affronta uno di quei problemi sociali ai quali l’artista non si è mai sottratto.
«D’amore non parliamo più» è destinata a entrare nel novero delle sue canzoni più belle: una canzone d’amore, una delicata poesia che il nostro interpreta da par suo, quasi un classico del suo universo poetico. «Last minute» scandaglia ancora il tema dell’amore: racconta di un uomo d'affari impegnato nel sud-est asiatico, che ogni giorno sogna una donna lontana ma soprattutto l'Europa. «Musica moderna» ironizza un po’ sui cosiddetti intellettuali della musica: quelli che si riempiono la bocca di paroloni sulle nuove tendenze musicali, senza accorgersi che da mezzo secono la musica che gira attorno è più o meno sempre quella.
«Parole che si dicono», «Illusione» e «L’amore trasparente» (dalla colonna sonora del film «Caos calmo») completano un disco di qualità, apparentemente facile ma ricco di testi di spessore e livello letterario.
Dal 3 novembre Ivano Fossati è in tour: partenza da Verona.
AC/ DC
Dopo otto anni sono tornati. Gli australiani AC/DC si rimettono in pista con «Black Ice»(SonyBmg), il nuovo album che prelude a un tour mondiale che il 19 marzo toccherà Milano. E che suona come se fosse stato inciso ai tempi di «Back in black», disco del 1980, il primo inciso dopo la morte per abusi alcolici del cantante Bon Scott, che ancor oggi è tra i cinque più venduti della storia del rock (oltre quaranta milioni di copie).
Angus Young ha più di sessant’anni ma è ancora vestito con la sua divisa da scolaretto e i pantaloni corti e assieme al fratello Malcom, poco più vecchio di lui, continua a formare una coppia di chitarristi che attorno a tre-quattro accordi manda in visibilio vecchi e nuovi metallari.
Con duecento milioni di dischi venduti gli AC/DC sono da più di trent'anni un'istituzione del rock, sospesi tra power e metal, una sorta di via di mezzo tra una versione senza blues, black music e fascino satanico dei Rolling Stones e un derivato dei Led Zeppelin.
Al sound delle chitarre dei fratelli Young si aggiunge la vocalità roca e graffiante di Brian Johnson, che ha educato le corde vocali con il whisky e le pinte di birra e che sta con la band dai tempi di «Back in black». La ritmica, Cliff Williams al basso e Phil Rudd alla batteria, è inchiodata al suo ruolo di metronomo chiamato a sostenere voce e chitarra.
«Black ice» è stato registrato a Vancouver e prodotto da Brendan O’Brian, che ha firmato i dischi dei Rage against the machine, Stone temple pilots, Pearl Jam e gli ultimi tre di Bruce Springsteen. O’Brian è diventato famoso per la sua capacità di dare un proprio suono ai suoi lavori, ma in questo caso non ha fatto altro che rispettare il passato di questa band di anglo scozzesi cresciuti in Australia.
I pezzi sono quindici, un insieme di canzoni che non danno tregua, proprio come piace ai vecchi fan. Anche per quanto riguarda i testi, i fratelli Young sono rimasti fedeli alla linea di un immaginario godereccio che va dai party alle ragazze disponibili. Con tutte le varianti del caso. «Rock’n’roll train» è il primo singolo.
VANONI Ornella più Ramazzotti, più Jovanotti, più Morandi, più Baglioni, più Carmen Consoli. E Ornella più Mina. La sintesi di tutto questo l'ha scritta lei stessa, quando ha deciso che quel disco celebrativo di cinquant’anni di carriera dovesse intitolarsi «Più di me». E oltre lei ci sono gli amici, i cantanti scelti per segnare un traguardo sospeso tra ieri e oggi. Undici tracce scelte dagli artisti coinvolti in una lista dei maggiori successi della Vanoni, «completamente reinterpretati - precisa - anche musicalmente», e questo «spiega il valore del disco». Jovanotti duetta in «Più» e in «Io so che ti amerò», i Pooh in «Eternità», Dalla in «Senza Fine», Giusy Ferreri in «Una ragione di più», Mannoia in «Senza Paura». Dei due inediti uno va forte nelle radio: c'è Ornella che racconta la vita, quel «Solo un volo», assieme a Ramazzotti. L'altro è atteso da tempo e vede due voci incontrarsi laddove la leggenda ha voluto dissapori e incomprensioni: Ornella e Mina in un ironico «Amiche mai», in cui la lite avviene davvero e per colpa di un uomo. Brano registrato però separatamente.
CAPOSSELA La nostalgia dell'inverno, di quel «momento di grande intimità» dove si pensa «ai racconti di Natale di Dickens e di quell'atmosfera ovattata di stagione silenziosa, di tempo remoto». C'è chi, come Vinicio Capossela, per questa mancanza, «per protestare contro la sparizione dell'inverno, di cui rimane soltanto la foschia», arriva a incidere un disco. «Da solo», titolo scelto perchè composto in totale solitudine: poche settimane a cavallo tra 2007 e 2008 sono bastate per scrivere undici tracce, concepire l'aggiunta di una dodicesima (che si serve di una melodia di un vecchio inno composto nel '14 da Frederick Martin Lehman), evocare immagini, ascoltare il silenzio, raccontare drammi, mostrare evidenze e dimostrare intuizioni al modo di Capossela. È un album festoso e fatato, a detta dell'artista «un disco per pianoforte e strumenti inconsistenti», dove, se la voce e il piano la fanno da padrone, il caleidoscopio di suoni che li circondano fanno «a volte da coro, a volte da ombre, da tintinnio, da ambiente, da aria e da cappotto». E gli strumenti diventano giocattoli, nel mondo di Capossela.
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