GORIZIA TU SEI MALEDETTA
La Grande Guerra per noi fu anche quella dei seicentomila morti. Seicentomila giovani vite umane sacrificate sull’altare della patria. La battaglia di Gorizia - agosto 1916 - costò da sola un prezzo terribile: oltre cinquantamila soldati per parte italiana, quasi altrettanti sul versante austriaco. Un autentico massacro, secondo gli storici.
Un massacro, un macello a cui venne mandata la gioventù dell’epoca, che valse alla città isontina l’attributo di «maledetta» in una canzone della grande tradizione antimilitarista. «Oh Gorizia tu sei maledetta, per ogni cuore che sente coscienza, dolorosa ci fu la partenza, e il ritorno per tutti non fu...».
Pare che la versione originale fosse stata raccolta, qualche anno dopo i tragici fatti, da un testimone che affermò di averla ascoltata dai fanti che conquistarono la città il 10 agosto 1916. Ma il brano si innestava su moduli di tradizione popolare risalenti a una manciata di anni prima: una strofa è infatti simile a un’altra cantata dei tempi della guerra di Libia.
Fra le tante canzoni contro la guerra, «Oh Gorizia tu sei maledetta» è diventata nel corso del Novecento una delle più conosciute, quasi un simbolo dell’antimilitarismo e del pacifismo italiano.
Ciò un po’ per i toni drammatici e incisivi dei versi, nella ferma e dura condanna della violenza e della guerra, resa più amara dalla sottolineatura di classe, sulla differenza fra ufficiali («Traditori signori ufficiali, che la guerra l’avete voluta, scannatori di carne venduta e rovina della gioventù...») e soldati semplici («Raccomando ai compagni vicini di tenermi da conto i bambini, che io muoio invocando il suo nom...»).
Ma la fama del brano nasce anche dal vero e proprio scandalo avvenuto nel giugno 1964 al Festival dei Due Mondi di Spoleto, nel corso dello spettacolo «Bella ciao», nel quale il Nuovo Canzoniere Italiano proponeva un programma di canzoni popolari e canti della gente comune. Quando Michele L. Straniero e Fausto Amodei, Roberto Leydi e Giovanna Marini cominciarono a cantare i versi di «Gorizia» - recuperata dagli studiosi della musica popolare che si erano raccolti in quella formazione - tutto filò via tranquillo fino al verso «Traditori signori ufficiali...».
Lì scoppia il finimondo. «Un tumulto - come racconta trent'anni dopo lo stesso Straniero - provocato da chi esige l'interruzione dello spettacolo. I dissenzienti non vogliono intendere ragioni: Gorizia non si tocca, la Grande Guerra nemmeno. Questi qui sono una banda di comunisti, il festival è caduto in mano ai rossi, bisogna farli tacere e cacciarli via».
Ancora Straniero: «Un facinoroso particolarmente acceso tenta la scalata al palco: ma Giovanna Marini, già alta e imponente di suo come una matrona romana, lo ferma di botto levandogli sul capo la sua superba e preziosa mandòla. In un palco Giorgio Bocca, tra i sostenitori più convinti, ribatte da par suo a una "carampana" che squittisce dissenso. Dal fondo della sala una voce stentorea proclama: "Signori ufficiali, attenti!"...».
Ufficiali scandalizzati dalla visione assai poco eroica della «guerra vittoriosa». Ufficiali che quel giorno abbandonarono la sala assieme alle autorità. Lo spettacolo venne sospeso. E pochi giorni dopo gli artisti vennero denunciati per vilipendio alle forze armate.
Questo era il clima all’inizio degli anni Sessanta nel nostro Paese. Nei quarant’anni che son passati, soprattutto Giovanna Marini ha mantenuto viva - negli spettacoli e nei dischi - la tradizione di «Gorizia» (questo è ormai diventato il titolo della canzone).
E recentemente anche il gruppo goriziano ’Zuf de Zur - che attinge alle tradizione multietnica di queste terre - ne ha realizzato una versione originale e convincente.
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