venerdì 7 novembre 2008

OBAMA


Obama primo leader politico figlio della new economy. Obama che oggi non sarebbe il primo presidente nero degli Stati Uniti se non ci fosse stato il web. Obama aiutato nell’ascesa dal suo indubbio carisma da rockstar. Obama il cui programma politico è la storia della sua vita...

Tutte sfaccettature che da quarantotto ore vengono rilanciate e analizzate sui giornali e dai commentatori di mezzo mondo. Giuliano da Empoli, trentacinquenne di talento con sette libri già in bacheca, è forse il massimo conoscitore italiano di Barack Obama. Gli ha anche dedicato un libro, uscito per Marsilio due mesi fa: «Obama, la politica nell’era di facebook» (pagg.160, euro 12). Nel quale ricostruisce l’ascesa di colui che cinque anni fa era un semplice membro dell’assemblea statale dell’Illinois («l’equivalente di un consigliere regionale del Piemonte...», chiosa lo scrittore) e che col voto dell’altro giorno, oltre a diventare capo della massima potenza mondiale, è entrato nella Storia.

«Obama l’ho scoperto tre anni fa in tivù - ricorda Giuliano da Empoli, che nel ’96, quando esordì con «Un grande futuro dietro di noi, fu accolto come un autentico enfant prodige - grazie a un mio amico che fa il curatore d’arte a Chicago, e che mi aveva segnalato l’ascesa di questo nuovo leader politico. Nel 2004 lui aveva già tenuto il discorso di apertura alla convention dei democratici che aveva candidato Kerry, ma in Italia non lo conosceva nessuno. Forse nemmeno Veltroni...».

Si aspettava un successo di queste dimensioni?

«Via via che ci si avvicinava al voto, sì. Da noi è stato percepito come un ufo. Un nero presidente degli Stati Uniti? Non ci credeva nessuno, nemmeno a sinistra. Lui invece ha vinto perchè ha portato in politica le trasformazioni della società americana dell’ultimo quarto di secolo. La sua vittoria non nasce solo dalla delusione per Bush, ma ha radici più profonde».

Figlio della new economy. Perchè?

«Analizzandolo con le vecchie categorie della politica americana, è un fenomeno che non si comprende. Negli Usa ci sono i partiti, le lobby, le grandi famiglie. La new economy ha invece prodotto negli ultimi anni fenomeni come Google, l’avventura di due ragazzi partiti da un garage che hanno costruito un impero. È da quel mondo, da quel tipo di avventure velocissime che nasce il fenomeno Obama. Un perfetto sconosciuto, un outsider che in pochi anni si fa conoscere, trova i fondi necessari, assembla le intelligenze e le professionalità giuste. E diventa presidente».

Senza internet sarebbe stato impossibile.

«Certo. Ma gli Stati Uniti ci hanno abituati all’irrompere dei nuovi media: un tempo la radio, poi la tivù, oggi la rete. Che viene usata da tutti. Lo stesso McCain, nonostante l’età, ne fu un precursore, quando nel 2000 contese la nomination a Bush. La novità con Obama è che non usa internet solo per comunicare qualcosa agli altri: lui ha permesso ai suoi sostenitori di comunicare fra loro, creando un movimento dal basso che è stato fondamentale, a lui che viene dal volontariato, per reperire i fondi economici. Poi ha lasciato lo strumento nelle mani della base: un rischio che un politico tradizionale non avrebbe mai corso».

Quanto ha contato il carisma da rockstar?

«Molto. Nello show business le barriere razziali sono cadute da un pezzo. Di quel mondo lui ha preso la dimensione del sogno, come già aveva fatto Kennedy, giovane e prestante come lui, e l’ha trasferita in politica. Senza questa dimensione la sua avventura forse non sarebbe stata possibile. A un certo punto gli è stata anche utilizzata contro da McCain, con qualche contraccolpo nei sondaggi, e lui ha dovuto rallentare. Ma all’inizio, nell’ascesa, gli è servito molto».

Michelle fondamentale.

«Assolutamente. Con una doppia funzione. Lei che viene dal ghetto di Chicago gli ha dato le radici nere che non aveva ma che cercava, come dimostra l’esperienza di volontariato nei quartieri neri. Con cui lui non c’entrava nulla, cresciuto com’è fra le Hawaii e l’Indonesia. E poi, a lui figlio di un padre che aveva avuto otto figli da quattro donne diverse, lei ha dato la solidità di una coppia e di una famiglia. Che negli Stati Uniti è importante».

Come la fede. E con Obama Dio non è più repubblicano...

«I cattolici stavano con Bush, ora hanno votato Obama. Mentre i protestanti sono ancora con i repubblicani, ma in misura minore. La novità di Obama è che parla apertamente dell’importanza della religione, della fede nell’attività politica, mentre i democratici avevano una tradizione più laica. Del resto lui ha forti radici nella religione. Dai predicatori neri ha preso lo stile, l’oratoria, le metafore».

Per il programma ha attinto invece dalla sua vita.

«È un’altra sua particolarità. Basti pensare che a trent’anni aveva già scritto la sua autobiografia. Sì, il programma di Obama è Obama. Si tratta di un’arma retorica molto efficace, usata ben sapendo che il racconto biografico è molto più efficace di un programma, in una società e per una generazione narcisista dove tutti si raccontano, fra blog, siti e social network».

Quarant’anni dopo Bob Kennedy e Martin Luther King, e 45 dopo John Kennedy, Obama oggi rischia la vita?

«Purtroppo sì. Gli Stati Uniti sono pieni di armi, e ci sono questi gruppi di fanatici militarizzati molto pericolosi. Ma il rischio è preso sul serio: già nel discorso della vittoria ho visto che Obama era molto più protetto che nella campagna elettorale. Rimane un forte elemento di preoccupazione».

E in Italia?

«La forza del segnale di Obama è che tutto è possibile. E il contrasto con la realtà italiana è netto. La partita va giocata in positivo, non con il lamento. Obama vince perchè offre una promessa, la realizzazione del sogno americano secondo il quale tutto è possibile».

«Le cose si muovono - conclude Giuliano da Empoli - quando qualcuno porta innovazione in termini di messaggio, contenuti, tecnologia. Ma le trasformazioni della società italiana non sono ancora state portate in politica. L’ultimo che l’ha fatto è stato Berlusconi, ma solo nella fase iniziale, ormai quattordici anni fa. Il prossimo che riesce a farlo vince. Ma a questo punto ci vuole un outsider. Com’era fino a ieri Barack Obama».


 

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