sabato 6 giugno 2009

SANTANA IL 14 LUGLIO A TRIESTE


«Trieste? Dov’è Trieste...?», chiede Carlos Santana al telefono dall’altra parte dell’oceano. E tu non trovi di meglio che cavartela col solito, banale ”...vicino Venezia».

Le istruzioni erano precise. Bisogna telefonare all’Hard Rock Hotel di Las Vegas, chiedere di tale ”Mr. Chad Wilson” alla tal stanza, e lui ti passerà nientepopodimeno che ”Mr. Santana” in persona.

Sì, il mito Santana che suona a Trieste, in piazza Unità, martedì 14 luglio. Una delle due date italiane (l’altra è il 15 luglio a Brescia) del suo tour mondiale partito nei giorni scorsi da Las Vegas, dove rimarrà fino al 14 giugno. Ogni sera un tutto esaurito, per questo ”Supernatural. A trip through the hits”.

«Trieste? No, non la conosco - ammette Santana dopo che la comunicazione è finalmente stabilita - e non so dove sia. Ma amo molto l’Italia e tutte le sue città: Roma, Milano, Venezia, Torino, Verona... Udine? No, non la conosco. Dice che ci ho suonato nell’estate 2006 allo stadio? Adesso forse ricordo. Sì, è un’altra città vicino Venezia...».

Non si può pretendere. La vita delle rockstar è così. Suoni in un posto, la sera dopo in un altro, e spesso non hai il tempo o la voglia di vedere qualcosa che non sia il luogo dove si svolge il concerto. Sempre così. Per anni, quando va bene per decenni.

E a Carlos Augusto Alves Santana è andata molto bene. Nell’estate di quarant’anni fa era solo un ragazzo di ventidue anni, emigrato negli Stati Uniti dal natio Messico, chitarrista di belle speranze ma pressocchè sconosciuto alla gran parte del mezzo milione di giovani che nel weekend di Ferragosto del ’69 se lo trovarono catapultato sul palco di Woodstock.

Fu uno di quelli ai quali la celebrata ”tre giorni di pace amore e musica” cambiò la vita. Aveva appena pubblicato ”Evil ways”, il suo album d’esordio, ma soprattutto con ”Abraxas”, uscito l’anno dopo, cominciò una carriera forte di ottanta milioni di dischi venduti, migliaia di concerti e tour in tutto il mondo, una fama che rasenta il mito.

«Di Woodstock - dice - ricordo soprattutto tanta gente giovane che sognava di cambiare il mondo, anche attraverso la musica. C’era la guerra nel Vietnam, e la protesta contro quella guerra si unì alla voglia di vivere la musica in una maniera diversa».

La sua carriera cominciò da lì.

«Ero un ragazzino, ma avevo già un contratto discografico ed era uscito il primo album. Anche se mi conoscevano in pochi. Fu il produttore Bill Graham che convinse gli organizzatori a farmi suonare. Con ”Soul sacrifice” conquistammo il pubblico. Sì, posso dire che tutto partì da lì».

Lei era emigrato dal Messico.

«La mia famiglia arrivò a San Francisco nel ’61. Io avevo quattordici anni. Suonavo già la chitarra. Eravamo una famiglia di musicisti. Mio padre era un violinista mariachi, anch’io cominciai da bambino con il violino, ma poi mi appassionai alla chitarra, al rock, alle nuove musiche che sentivo dalle stazioni radio americane».

Anche oggi tante persone, come allora la sua famiglia, cercano una vita migliore partendo...

«La storia dell’umanità è fatta di gente che parte alla ricerca di un luogo, di un lavoro, di una vita migliore. Ogni padre, ogni madre vogliono questo per i propri figli. E bisogna sempre rispettare la speranza che sta nel cuore di ogni persona, di ogni famiglia che parte alla ricerca di un futuro migliore».

Che spazio hanno la fede e la preghiera nella sua vita?

«Sono sempre state molto importanti. Anche da ragazzo ero molto molto religioso, molto attento alla spiritualità, ma è soprattutto con il passare degli anni che mi sono accorto che non può esserci felicità e pace senza fede e preghiera».

È vero che fra qualche anno vuole smettere di suonare e diventare sacerdote?

«Sì, l’ho detto. Ho detto che quando avrò sessantasette anni <CF101>(ora ne ha sessantadue - ndr)</CF> mi ritirerò dalla musica per dedicarmi completamente a Dio. Penso di poter comunicare anche senza la chitarra, penso di poter essere comunque utile alla gente anche senza la musica. Ma poi non lo so, se riuscirò davvero in questo intento».

Nel frattempo con la Fondazione Milagro lei è già utile a tanta gente...

«Sì, l’ho fondata anni fa per aiutare i bambini poveri di tutto il mondo. Ma anche gli indiani nativi, gli ex detenuti, i disadattati. E in ogni mio concerto, un dollaro di ogni biglietto venduto va a questa fondazione. So di essere una persona fortunata, e so che devo fare qualcosa per aiutare chi è meno fortunato».

Cosa pensa del presidente Obama?

«Penso che abbia cominciato benissimo il suo mandato. Gli Stati Uniti devono ripartire da zero dopo gli otto anni della presidenza Bush. Non è con le guerre che si risolvono i problemi del mondo. Il lavoro che aspetta Obama non è facile, ma anche nel recente viaggio in Medio Oriente ha detto cose che nessun presidente degli Stati Uniti non aveva mai detto. Sognare un mondo senza guerre è giusto. Dobbiamo immaginare un mondo, come cantava John Lennon, in cui tutti i popoli vivano in pace...».

Mister Santana, cosa suonerà a Trieste?

«Tutta la mia musica. Tutti i miei successi. Lo dice anche il titolo del tour: un viaggio attraverso i miei successi...».

Dopo le tante repliche al ”Joint” dell’Hard Rock Hotel & Casinò di Las Vegas, il tour di Carlos Santana riparte dall’Europa il 4 luglio: Bucarest, Istanbul, Atene, Skopje, Belgrado, il festival croato di Varazdin. Dopo Trieste - come si diceva il 14 luglio - e Brescia, tappe in Austria e in Germania.

Del gruppo di Santana fanno parte Chester Thompson (tastiere), Karl Perazzo (timbales), Benny Rietveld (basso), Dennis Chambers (batteria), Raul Rekow (conga), Andy Vargas e Tony Lindsay (voci), Tommy Anthony (chitarra ritmica), Jeff Cressman (trombone) e Bill Ortiz (tromba).

Nessun commento:

Posta un commento