venerdì 26 giugno 2009

MICHAEL JACKSON


Michael come Elvis. E forse come John. Lutti e icone che si rincorrono. Elvis Presley il 16 agosto del ’77, morto a quarantadue anni, distrutto da cibo, farmaci, droghe, eccessi. John Lennon l’8 dicembre ’80, ucciso a quarant’anni dalla pistola del folle Mark David Chapman. E ora Michael Jackson, che in una graduatoria forse macabra ma utile per storicizzare la cronaca, diventa la terza morte più importante nella storia della musica popolare dell’ultimo mezzo secolo.

Perchè se Elvis è stato l’inventore e il re del rock, se Lennon con i Beatles ha cambiato musica e costume del Novecento, Jackson è stato il re del pop, il primo artista di colore a diventare una star mondiale, l’uomo dei primati, quello che ha venduto in tutto 750 milioni di dischi e 109 solo dell’album ”Thriller”, in assoluto il più venduto della storia del pop.

Ma ”Jacko” è stato anche il superbo e talentuoso esponente della razza afroamericana ad aver scelto di farsi bianco. Negli ultimi vent’anni si era quasi accanito contro le sembianze nere della sua razza. Un caso quasi da manuale della psicanalisi. Decine di operazioni di chirurgia plastica per diventare alla fine una sorta di zombie simile a come appariva nel leggendario video di ”Thriller” girato da John Landis: pelle bianca, capelli neri e lisci, nasino all’insù, zigomi pronunciati, fossetta sul mento.

Niente a che vedere col ragazzino paffutello e assolutamente afro che a dieci anni già cantava e ballava nella band di famiglia, i Jackson Five, suo primo trampolino verso il successo planetario. Con singoli targati Motown come ”I want you back”, ”Abc”, ”The love you save”, ”I’ll be there”, ”Got to be there”. Era di gran lunga il più dotato dei fratelli, il padre lo aveva capito subito, e pare lo costringesse a esercitarsi a forza di botte.

L’eterno Peter Pan, il genio bambino, l’uomo che appena i milioni glielo consentono si costruisce un lunapark nel ranch californiano di Neverland, e che gioca (chissà, forse all’inizio senza malizia) sul lettone con i giovani ospiti, probabilmente nasce proprio da lì, da quelle violenze familiari.

Che non gli impediscono di diventare il re del pop, l’uomo che prosegue il lavoro avviato da Elvis: abbattere definitivamente i confini fra la musica bianca e quella nera, mischiare arte nuova e genere commerciale, creare un pubblico autenticamente multirazziale.

Il primo disco di Michael adulto, nel ’79, è ”Off the wall”: dance venata di rock, prodotta da sua maestà Quincy Jones. Poi arrivano il ”Thriller” dei record (’82, sempre siglato Quincy, con dentro ”Billie Jean”), ma anche la collaborazione con Stevie Wonder e Paul McCartney. E la sintesi fra rock e musica nera macina record, viaggia a mille grazie anche alle coreografie, al famoso passo ”moon walk”. Immortalato nei suoi video che aprono una nuova era, quella della videomusica e della cosiddetta Mtv generation.

Prima degli album ”Bad” (’87) e ”Dangerous” (’91), l’inno ”We are the world”, scritto con Lionel Richie, e l’acquisto del catalogo con le canzoni dei Beatles, pagato oltre 47 milioni di dollari e rivelatosi un enorme affare, segnano nell’85 il momento forse più alto delle sue fortune. Il più basso: le infamanti accuse di pedofilia e il processo per molestie sessuali a minori all’alba del nuovo millennio.

Secondo la stampa Jackson avrebbe speso centinaia di migliaia di dollari per tacitare le sue presunte vittime ed evitare così testimonianze imbarazzanti nei processi dai quali esce comunque assolto, ma che ne segnano l’inizio della fine.

Nel 2001 - anno di ”Invincible”, ultimo album prima della riedizione nel venticinquennale di ”Thriller” - chiede e ottiene un prestito da duecento milioni di dollari dalla Bank of America, ma le vicende giudiziarie e le parcelle degli avvocati lo hanno ormai messo al tappeto. Pare spendesse ogni anno trenta milioni di dollari in più rispetto a quelli che incassava. Che erano sempre tanti soldi, ma molto meno dei tempi d’oro.

A questo si possono aggiungere le controverse vicende legate alla nascita in provetta dei suoi figli e ai disastrosi matrimoni prima con Lisa Marie Presley, guardacaso figlia di Elvis, e poi con la sua ex infermiera, costretta a firmare un accordo prematrimoniale in cui rinunciava alla maternità.

E ancora la camera iperbarica nella quale dorme inseguendo l’immortalità, la mascherina e i guanti che ergono una barriera fra lui e il mondo esterno, a tentare di preservarlo da malattie e contaminazioni.

L’ultima volta che Michael è apparso in pubblico è stato a marzo, quando ha annunciato - a dodici anni dall’ultimo tour - prima dieci e poi cinquanta concerti che avrebbe dovuto tenere a Londra a partire dal 13 luglio. Un milione di biglietti venduti nello spazio di pochi giorni, e che ora dovranno essere rimborsati, mettendo nei guai (in ballo 348 milioni di euro) la società americana che lo aveva convinto a tornare sulle scene. Lui aveva dovuto accettare per far fronte alla montagna di debiti che lo stava travolgendo. Ma pare che nelle settimane scorse avesse confidato i suoi timori: «Non so come farò a fare cinquanta spettacoli, sono molto stanco».

Michael Jackson, che il 29 agosto avrebbe compiuto cinquantuno anni, non ce l’ha fatta. E come sempre accade in questi casi, la sua scomparsa - con il necessario pizzico di mistero - lo consegna definitivamente alla sfera della leggenda. Del mito.

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