sabato 19 febbraio 2011

SANREMO 3


Per fortuna è arrivato Roberto Benigni, a risollevare le sorti del 61.o Festival di Sanremo, che altrimenti - Morandi o non Morandi, satira o non satira - alla terza serata rischiava già di annegare nella solita noia. Il ”piccolo diavolo” arriva dalla platea alle 22.30 su un cavallo bianco, agitando il tricolore. Ripete due volte «Viva l’Italia!», saluta Morandi, gli fa i complimenti. Prima punturina: «Avevo dei dubbi a entrare col cavallo, perchè ai cavalieri ultimamente non gli va mica tanto bene...».

Ripete sillabando: «Siamo qui per parlare e-sclu-siva-mente dell’inno di Mameli e dell’Unità d’Italia». Ammicca ai caporioni Rai nelle prime file e butta lì: «Il verso ”dov’è la vittoria” sembra scritto per il Pd». Poi si scatena con le minorenni: anche la Cinquetti sedicenne a Sanremo si era spacciata per la nipote di Claudio Villa, per sapere di Ruby bastava andare all’anagrafe a vedere se Mubarak si chiama di cognome Rubacuori, Silvio Pellico che ha scritto ”Le mie prigioni” («prima di trovare un altro Silvio che scrive un libro così...»), Cavour è il secondo statista degli ultimi 150 anni ma ha avuto anche lui problemi con la nipote di Metternich.

Poi diventa serio: tutti i protagonisti del Risorgimento erano giovani, hanno dato la vita per noi, Garibaldi era un mito in tutto il mondo, in Italia è nata prima la cultura e poi la nazione, i valori del patriottismo sano. La storia del poema risorgimentale diventato inno prima sulle barricate e poi dell’italia risorgimentale.

L’esegesi verso per verso. «L’Italia s’è desta: svegliatevi! svegliarsi è l’unico modo per realizzare i propri sogni...». Un altro celebre verso gli permette di spiegare «a Umberto»: nel testo non è l’Italia a essere schiava di Roma, il soggetto è la vittoria (della serie: Bossi, prendi e porta a casa). L’omaggio al tricolore, alle donne, il saluto finale, il canto a cappella dei primi versi dell’Inno d’Italia. Poi gli applausi prolungati, la standin’ ovation, tutto il teatro in piedi, l’emozione autentica. Quasi cinquanta minuti, una vera lezione di storia. Di quella storia che potrebbe far ancora appassionare i nostri ragazzi.

La serata, dedicata ai 150 anni dell’Unità d’Italia, era cominciata con il balletto tricolore di Daniel Ezralow intitolato ”Italia unita”, con Elisabetta Canalis al braccio di un’inedita Belen Rodriguez vestita da uomo («ormai siamo una coppia di fatto»), con l’omaggio di Luca e Paolo al grande Giorgio Gaber («ha fatto un solo errore: ci ha incoraggiati a fare questo mestiere»).

Poi spazio ai quattordici big, stavolta alle prese con brani in qualche modo legati alla storia del nostro Paese. Fuori dall’Ariston un gruppo di manifestanti canta ”Bella ciao”, l’inno della Resistenza protagonista di una polemica della vigilia e poi non inserito fra le canzoni prescelte.

Apre allora Davide Van de Sfroos, che abbandona per l’occasione il dialetto del lago di Como e regala un’onesta versione di ”Viva l’Italia” (1979), di Francesco De Gregori. Di fatto è un’altra sberla alla Lega, che tante volte aveva tentato - peraltro senza successo - di tirarlo per la giacchetta.

Anna Tatangelo, per cantare ”Mamma” (1940), di Beniamino Gigli, si è vestita da donna. Forse dando ascolto a chi ha spiegato la sua provvisoria eliminazione della prima serata con il look maschile e aggressivo. Arriva Anna Oxa, l’altra eliminata di martedì sera, che ha scelto di puntare sulla classicissima ”O sole mio” (1898), nota soprattutto per la versione di Enrico Caruso. Ancor più classica la scelta di Al Bano, bocciato dalle giurie della seconda serata: una ridondante ”Va pensiero” (1842), dal Coro del Nabucco verdiano.

Il padrone di casa lascia per tre minuti le vesti del bravo presentatore e partecipa anche lui alla festa. Lo fa alla sua maniera, cantanto ”Rinascimento”, musica di Gianni Bella («l’ha scritta pochi giorni prima di essere colpito da un ictus...») e parole di Mogol. Bella canzone, Morandi la interpreta nella maniera migliore. E poi quasi si commuove, quando si rivolge all’amico malato: «Ciao Gianni, spero che tu ti rimetta presto».

Tocca a Patty Pravo, che completa il poker degli eliminati, due dei quali sono stati ripescati proprio ieri sera: l’ultima diva, l’ex ragazza del Piper si rivela perfettamente adeguata all’atmosfera retrò di ”Mille lire al mese” (1938). Riesce persino a non stonare, cosa ultimamente molto rara.

Morandi pesta un piede a Belen (con simbolo pacifista griffato Moschino sulla schiena nuda), che lo sovrasta sempre di una spanna, e introduce Luca Madonia per ”La notte dell’addio”, brano non molto noto che Iva Zanicchi portò al Sanremo del 1966, quando faceva ancora la cantante e tutti eravamo più felici (del fatto che facesse la cantante, of course). E stavolta Battiato dirige l’orchestra.

Scambio di freddure delle due ”iene” con l’eterno ragazzo. «È bello vedere Masi, il direttore generale della Rai, in platea - dicono Luca e Paolo - perchè vuol dire che così non chiama». E poi: «Guarda, c'è La Russa, ma allora esiste. Pensavo che fosse una parodia. Se è ministro lui vuol dire che c'è speranza per tutti». Ancora: «La ringraziamo perchè ha parlato bene di noi sui giornali, ma se potesse smentire sarebbe meglio, perchè a casa ci hanno tolto il saluto».

Microfono a Giusy Ferreri, che regala una versione miagolante e accelerata di ”Il cielo in una stanza” (1960), di Gino Paoli. L’effetto è straniante. Molto meglio la lettura che un’altra donna di ”X Factor” regala della battistiana ”Il mio canto libero” (1972): Nathalie è brava, funziona meglio come interprete che come autrice, deve solo trovare un repertorio all’altezza della sua personalità.

Si torna al Risorgimento italiano con ”Addio mia bella addio” (1848), grazie a Luca Barbarossa con Raquel Del Rosario. Meglio ”Here’s to you” (1971), di Joan Baez, dalla colonna sonora di ”Sacco e Vanzetti”, nella versione dei Modà con Emma. Che ha declinato, perchè voleva rimanere concentrata sul Festival, l’invito rivoltole da Santoro per un collegamento con ”Annozero”, dopo la sua partecipazione alla manifestazione di domenica per la dignità delle donne.

Max Pezzali canta con Arisa ”Mamma mia dammi cento lire” (primi del Novecento): non lasciano traccia. Altra classe, altra statura di interprete per ”O surdato ’nnammurato” (1915), nobilitata dal milanese («ma sono figlio di genitori napoletani») Roberto Vecchioni.

Arriva il momento di Benigni. Poi completano la serata La Crus con ”Parlami d’amore Mariù” (1932), di Vittorio De Sica, e Tricarico con Toto Cutugno, venuto di persona per duettare nella sua classicissima ”L’italiano” (1983). Nella maratona c’è ancora spazio per i rimanenti quattro Giovani (stasera la loro finale) e per il ripescaggio di due big. Ma ormai è notte fonda.

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