sabato 5 febbraio 2011

INTERVISTA LUCIO DALLA


"La storia è fatta di fluttuazioni. Dopo anni bui, possono e debbono arrivare tempi migliori. Anche se non sai mai quando hai toccato il fondo. Ecco, mi sforzo di pensare, di sperare che l’Italia sia alla vigilia di un nuovo rinascimento, di una vita migliore, nella quale ci si occupi di cose più importanti. Oggi il mondo sembra grigio, ma qualcuno può sempre accendere la luce, prendere coscienza, provocare una reazione. Del resto, è proprio quando ti viene negata la libertà che la cerchi con più forza, con più ostinazione...».

Lucio Dalla riflette a voce alta, in una pausa del tour che lo sta riportando in giro per l’Italia assieme all’antico sodale Francesco De Gregori. Il loro ”Work in progress”, a trentadue anni dal mitico ”Banana Republic”, è già alla terza tranche. Dopo i teatri della primavera scorsa e le piazze dell’estate (con tappa anche a Udine, a settembre), ora i due tornano giovedì 10 al Nuovo di Udine e lunedì 21 al Rossetti di Trieste.

«Dovrebbe essere l’ultima parte - annota il cantautore e musicista bolognese, classe 1943 -, ma se poi si deve andare avanti, per me va bene lo stesso. Ci divertiamo...».

Com’era l’Italia di ”Banana Republic”, l’Italia del ’79?

«Più stimolante, più piacevole, più curiosa, forse anche più autentica. Sentivamo il vento delle idee nuove, di una socialità diversa. C’era la voglia di tirar fuori la parte migliore di ognuno di noi».

Oggi?

«C’è più tecnologia, ma tutto sembra molto più finto, essendo virtuale. La realtà risulta più annacquata. Anima e cervello vengono alterati, spesso sono peggiori».

Nel ’79 venivano a vedervi i giovani, oggi un pubblico di tutte le età.

«È vero. Vengono ai concerti anche ragazzi che non ci avevano mai visto dal vivo. La cosa non mi turba, sono sempre stato trasversale, avendo fatto cose come ”Caruso” e ”Henna”, ma anche ”Attenti al lupo” e ”Canzone”. Ma vedo che anche De Gregori, più radicale, si diverte dinanzi a questo slittamento verso un mondo più generalista, transgenerazionale...».

È vero che vi frequentate solo sul palco?

«Verissimo, oggi come allora. C’è stima e rispetto reciproco, ma non c’è quell’amicizia intesa come uscire la sera, andare a cena, giocare a carte. C’è condivisione dei momenti importanti. Che a mio avviso è la radice vera dell’amicizia».

Com’è nata l’idea della ”reunion”?

«Due estati fa dovevo suonare a Solferino, per i 150 anni della Croce Rossa. Mi viene in testa di invitare Francesco, convinto, conoscendolo, che avrebbe detto di no. Invece lui viene e cantiamo assieme ”Santa Lucia”, una delle sue canzoni che amo più, che quasi gli invidio».

Poi?

«Poi ci accorgiamo che era il 24 giugno 2009, anniversario della battaglia che fece l’Italia ma anche trentennale del debutto di ”Banana Republic”. Ci è sembrato un segno del destino».

Ricorda la tromba d’aria che colpì lo Stadio Friuli di Udine, poche ore prima del vostro concerto, nel luglio ’79?

«Perfettamente. I ragazzi della Fgci, che organizzava il concerto, andarono a comprare tutti i phon che trovarono nei negozi udinesi. E asciugarono in quella maniera rudimentale tutte le casse acustiche dell’impianto, che erano fradice d’acqua...».

Morandi vi ha fatto qualche ”proposta indecente”?

«No, di Sanremo non si è nemmeno parlato. Anche se non ho nulla contro il Festival. E tantomeno contro Gianni, con cui ho fatto un altro tour in qualche modo storico: ”DallaMorandi”. Ho sempre amato lavorare con artisti apparentemente lontani fra loro. Le differenze aggiungono sempre qualcosa. Mi divertono».

Si divertiva anche con il poeta Roberto Roversi?

«Da lui ho soprattutto imparato, quando a metà degli anni Settanta scrivemmo assieme la trilogia di ”Automobili”, ma anche dopo, quando abbiamo collaborato ancora assieme, come nel brano ”Comunista”, che stava nel mio album ”Cambio”, del ’90. Ha appena compiuto 88 anni, lo vedo ancora, rimane un mio forte punto di riferimento culturale».

Dopo Roversi cominciò a scriversi anche i testi.

«Sì, da lui ho imparato la disciplina vera della scrittura. Ricordo che mi dava grande soddisfazione lavorare con lui. Dopo quella collaborazione evidentemente mi sentii pronto. Roversi mi fece scoprire un mondo diverso da quello che conoscevo».

Molti anni dopo si è fatto attirare dalla lirica.

«Quello è sempre stato un mio grande amore. Ormai ho fatto diverse regie. Ora devo tornare in Irlanda per uno Stravinkij e un ”Arlecchino” di Busoni. È che non ho abbastanza tempo...».

Ecco, dove trova il tempo per fare tutto?

«Non lo so. Mi aiuta il fatto di avere tre studi di registrazione: a Bologna, alle Tremiti e sulla barca. Sto scrivendo anche tre colonne sonore: per il nuovo film di Pupi Avati, ”Il cuore grande delle ragazze”, per un ”Pinocchio” di Enzo D’Alò, e per un altro film la cui sceneggiatura è stata scritta dal nipote di Bob Kennedy».

E magari sta lavorando anche al nuovo disco.

«Certo. Sto scrivendo le canzoni. L’album uscirà a Natale. L’altro giorno ero a Bologna, al bar sotto casa mia, che fra l’altro sta chiudendo, e c’era un piccione che mi tormentava. Ne è venuto fuori un pezzo, che per ora ho intitolato senza troppa fantasia ”Il piccione”».

Lei frequentava Berlusconi...

«Sì, ai tempi di Craxi. Tipo simpatico, generoso, divertente. Lo considero un amico anche se non condivido nulla di lui. Già allora si intuiva che avesse un destino diverso dall’edilizia e dalle televisioni, anche se non pensavo diventasse il protagonista di vent’anni di storia politica. Come non avrei mai pensato che il degrado arrivasse a questo punto. Ma ormai l’argomento è abusato, è difficile parlarne».

Siamo a fine impero?

«Boh. Di certo in altri paesi, se uno avesse fatto un quarto di quel che ha fatto lui, sarebbe a casa già da un pezzo. Comunque non mi ha mai sconvolto lui, mi turbano quelli che lo votano. E forse continueranno a votarlo».

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