martedì 29 marzo 2011

ALEX LANGER


«Quante Cernobyl, quanti incendi nel Golfo, quante guerre, quanti attentati, quanta deforestazione, quanti studi e previsioni catastrofici ci occorreranno per prendere le nostre misure e digiunare?»

Parole di Alex Langer, scritte vent’anni fa, che tornano di bruciante attualità nei giorni dell’apocalisse giapponese e della guerra libica, ma anche del livello mai così basso a cui è scesa la nostra politica. Parole che ritroviamo nel volume “Il viaggiatore leggero, Scritti 1961-1995” (pagg. 410, euro 18), che Sellerio rimanda in libreria - a cura di Edi Rabini e Adriano Sofri, con un’introduzione di Goffredo Fofi - quindici anni dopo il suicidio dell’europarlamentare verde, padre dell’ambientalismo ma anche del movimento non violento italiano.

Quella frase iniziale, Langer la continuava così: «Nel digiuno si può ottimamente sintetizzare il cuore del messaggio anche della “conversione ecologica”: la corsa sfrenata al profitto, all’espansione, alla crescita economica, alla dissipazione energetica e alimentare, alla super-motorizzazione, alla montagna ormai ingestibile dei rifiuti. Un digiugno - una scelta di autolimitazione, del “vivere meglio con meno” - è oggi necessario e urgente. Anche a costo di apparire impopolari».

Langer era sudtorilese di lingua tedesca, nato nel ’46 a Vipiteno da padre ebreo (un medico viennese che si era trasferito a Bolzano da ragazzo) e madre cattolica. Vicino ai cattolici del dissenso, conosce don Milani nella Firenze degli anni Sessanta, dove studia giurisprudenza: una delle sue due lauree, quella in sociologia, la consegue poi a Trento.

L’insegnamento, a cui si era dedicato a Bolzano, Merano e a Roma, viene ben presto abbandonato dalla passione per il giornalismo e per la politica, che lo porta a essere prima consigliere regionale per la Nuova sinistra in Alto Adige e poi parlamentare europeo. Per i verdi, nell’89 e nel ’94, del cui movimento fu fondatore in Italia e fra i maggiori esponenti a livello continentale.

Un anno dopo la sua conferma al parlamento di Strasburgo si tolse la vita. Una vita troppo breve, dedicata a tre grandi filoni di militanza civile e politica: l’impegno per la convivenza interetnica e interculturale nel suo Sudtirolo, i movimenti ecologici verdi, le carovane per la pace nell’ex Jugoslavia, ai tempi della guerra dei primi anni Novanta.

Il volume comprende scritti e articoli che abbracciano quasi quattro decenni. Dalle prime cose realizzate da adolescente per riviste cattoliche di lingua tedesca fino agli articoli per Lotta Continua (del cui quotidiano fu l’ultimo direttore responsabile) e per il Manifesto, per giornali locali e riviste di varia natura, ma anche per fogli autofinanziati e a bassissima tiratura.

Un altro estratto, che a distanza di vent’anni risulta di bruciante attualità: «Gli immigrati che rappresentano la diretta sporgenza e ingerenza del sud (e dell’est) nel nostro mondo, sono oggi anche il primo banco di prova di tutti i nostri discorsi sulla cooperazione equa e solidale e sul risarcimento e possono diventare un importante “ponte” tra le nostre società e le loro comunità di provenienza».

Langer ci lascia frammenti e riflessioni di una lucidità sconvolgente, per questo nostro mondo che sembra viaggiare allegramente verso il naufragio. Il suo messaggio nella bottiglia, da splendido “viaggiatore leggero” qual era, rimane scritto con la forza di un comandamento: non smettere mai di ascoltare l’altro. Alex l’ha fatto finchè ne ha avuto la forza. Poi ha salutato la compagnia.

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«Se si dovesse chiudere in una formula ciò che Alex Langer ci ha insegnato - scrive Goffredo Fofi nell’introduzione -, essa non potrebbe che essere: piantare la carità nella politica. Proprio piantare, non inserire, trasferire, insediare. E cioè farle metter radici, farla crescere, difenderne la forza, la possibilità di ridare alla politica il valore della responsabilità di uno e di tutti verso “la cosa pubblica”, il “bene comune”, verso una solidarietà tra gli umani e tra loro e le altre creature secondo il progetto o sogno di chi “tutti in sé confederati estima/ gli uomini, e tutti abbraccia/ con vero amor, porgendo/ valida e pronta ed aspettando aita/ negli ultimi perigli e nelle angosce/ della guerra comun”. Dico carità nel preciso senso evangelico, poiché Alex era un cristiano, dei non molti che cercavano di attenersi agli insegnamenti evangelici che era possibile conoscere in quegli anni nel “movimento” (e oggi sono ancora di meno) e non, come tanti di noi che gli fummo contemporanei e amici, di fragilissime convinzioni “marxiste”...». 



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