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sabato 27 agosto 2011
DISCHI / JEFF BRIDGES + nirvana
Come attore, anni fa, lo avevamo amato soprattutto per l’indimenticabile personaggio interpretato ne “Il grande Lebowsky”. Ma poi l’uomo ha saputo conquistarci anche con “Crazy heart”, per quella dolente interpretazione di Bad Blake, cantante country alcolizzato sulla malinconica via del tramonto, che non a caso gli è valso lo scorso anno l’Oscar come miglior attore protagonista.
Da quel film si capiva che Jeff Bridges, americano di Los Angeles, classe 1949, la musica - soprattutto il country e il blues - l’aveva sempre amata e frequentata. Lo sapevano quelli che avevano ascoltato “Be here soon”, il suo album di debutto, pubblicato nel 2000. Se ne accorgeranno tutti quelli che ora focalizzeranno la propria attenzione sulle canzoni contenute in questo “Jeff Bridges” (Blue Note Records).
Cantante e chitarrista, proprio come il Bad Blake della finzione cinematografica, l’artista per l’occasione si è fatto guidare dall'amico musicista e produttore T-Bone Burnett, che tra l'altro aveva già scritto proprio la colonna sonora di “Crazy heart”. E ha coinvolto nell’avventura altri musicisti amici come Marc Ribot e Rosanne Cash.
La prima cosa che colpisce - già nella “What a little bit of love can do” d’apertura - è la voce, profonda, sporca e scura come certe atmosfere degli States meno conosciuti dai turisti capaci solo di una botta e via. La musica è americana al cento per cento, un country godibile anche da questa parte dell’oceano, con le radici ben piantate in un passato musicalmente glorioso.
Insomma, risultato solido e bello tosto. Non il solito disco dell’attore annoiato e magari in crisi alla ricerca di diversivi (ogni riferimento a Tim Robbins, Bruce Willis, Kevin Costner e Johnny Depp, che ha addirittura aperto una casa discografica, è assolutamente voluto...).
«La musica ha sempre fatto parte della mia vita - dice Bridges -, ho suonato musica da quando ero piccolo, è un “vizio” al quale non ho mai detto di no. Ho sempre scritto canzoni, non tanto per costruire una carriera come musicista ma per una sorta di necessità personale, un modo di esprimere emozioni e sentimenti. E finalmente, questa volta, sono riuscito a mettermi all’opera in maniera più completa, più seria».
Ancora l’attore: «Ho fatto moltissimi film e non ho avuto tempo per concentrarmi sulla musica. Per realizzare questo disco mi sono preso un anno libero, senza film a cui lavorare. Il bello è che l’album ha avuto una preparazione lunga ma è stato registrato in poche settimane, diciassette tracce, quasi di getto».
“Tumbling vine”, “Blue car” e la chitarristica “Slow boat” sono - assieme al citato brano d’apertura - le cose migliori di un disco che riconcilia l’ascoltatore europeo con un genere, il country, che dalle nostre parti non ha mai goduto di particolare attenzione nè tantomeno di grandi fortune.
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NEVERMIND - 20th anniversary edition (Geffen)
Nel ventennale della pubblicazione, ritorna in un cofanetto celebrativo (4 cd e un dvd, solo 40 mila copie stampate) il disco che segnò l’epopea dei Nirvana e di Kurt Cobain. Fu la cosiddetta esplosione grunge, che da Seattle si diffuse fra i giovani di mezzo pianeta. La giovanile rabbia punk di Cobain, che sarebbe morto suicida pochi anni dopo, nell’aprile ’94, ha qui dentro il suo manifesto: un forte scrollone all’universo rock, di quelli che si registrano solo una volta ogni tanto. Con brani come “Smells like teen spirit” e “Lithium”, che somigliavano ad altrettante urla di dolore. Disco generazionale, è stato detto, uno degli ultimi in grado di accomunare nel racconto della stessa angoscia i giovani di mezzo mondo. Il bambino che nella copertina originaria del disco nuota nudo in piscina dietro a una banconota da un dollaro oggi fa il grafico e l’illustratore. E non ha perso l’occasione per farsi nuovamente fotografare, nascondendo le parti intime, nella stessa posizione di allora.
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