venerdì 12 agosto 2011

NONNETTI DEL ROCK


David Crosby compie domenica settant’anni. Raggiungendo Bob Dylan che ha girato l’ingombrante boa a maggio. Leonard Cohen farà addirittura settantasette anni il 21 settembre. E a novembre - anche se delle signore dicono non sia cortese ricordare l’età... - Joni Mitchell tocca quota sessantotto mentre Tina Turner ben settantadue.

La lista sarebbe lunga. Ci limitiamo a ricordare i sessantadue anni di Bruce Springsteen, Mark Knopfler e Tom Waits, i sessantaquattro di Elton John, David Bowie e Iggy Pop, i sessantasei di Eric Clapton e Rod Stewart, i sessantotto di Mick Jagger e Roger Waters, i sessantanove di Lou Reed e Paul McCartney, i settantuno di Ringo Starr...

E proprio i due Beatles superstiti, entrambi ancora attivissimi, forse ricordano con una certa pacata autoironia i tempi in cui cantavano “When I’m sixty-four”. Nella quale prevedevano: «Quando diventerò vecchio e perderò i capelli, da qui a molti anni, mi manderai ancora una lettera per San Valentino, una bottiglia di vino con gli auguri di compleanno? Avrai ancora bisogno di me? Mi preparerai ancora da mangiare, quando avrò sessantaquattro anni?».

Ancora: «Anche tu sarai invecchiata, e se solo dirai una parola potrei restare con te. Potrei rendermi utile, aggiustare un fusibile, quando ti salta la luce. Tu puoi fare un maglione vicino al camino, andare in giro la domenica mattina, curare il giardino, estirpare le erbacce, chi potrebbe chiedere di più?».

Già, chi poteva chiedere di più, allora, alla bella età di sessantaquattro anni? Era il 1967, l’album s’intitolava “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”. Il mondo stava cambiando, anche grazie alle canzoni dei Beatles. E quell’età sembrava, per gli occhi e la sensibilità di quattro ventenni di Liverpool, ottima solo per tirare i remi in barca.

Non lo pensavano soltanto Lennon e McCartney. Anche Roger Daltrey (oggi sessantasettenne) e Pete Townshend (sessantasei) sono ancora in piena attività, a dispetto di quando, con i loro Who, in “My generation” cantavano il celebre verso “Voglio morire prima di diventare vecchio” (“Yeah, I hope I die before I get old, talkin' about my generation...”). Era il 1965, i due ragazzacci avevano anche loro attorno ai vent’anni, e la vecchiaia per loro cominciava con ogni probabilità anche prima dei sessantaquattro anni beatlesiani: diciamo attorno ai quaranta o giù di lì.

Certo, la vita media si è allungata. All’età in cui un tempo si era considerati vecchi bacucchi oggi ci sono tante donne e tanti uomini che vivono tranquillamente e qualche volta anche felicemente quella che non si usa più nemmeno chiamare la terza età. Viviamo l’epoca dei cosiddetti “giovani adulti”. E i protagonisti sono proprio gli ex ragazzi degli anni Cinquanta e Sessanta, che non accettano di diventare vecchi, e continuano - per usi, costumi, gusti, abiti, musica ascoltata - a considerarsi e comportarsi come ai tempi d’oro.

Negli anni Cinquanta e Sessanta rock e pop nascevano ad opera ma anche a uso e consumo delle giovani e giovanissime generazioni. In quella musica non c’erano soltanto versi e note, ma anche il rifiuto di valori imposti dai propri genitori, di una società e di costumi troppo stretti, di una vita già impostata in una maniera che sembrava non potesse essere mutata.

Oggi, nel 2011, dopo tutte le rivoluzioni avvenute nel costume (che qualche volta, dopo una rotazione a trecentosessanta gradi, ci hanno riportato al punto di partenza...), nel campo della musica i ragazzi di ieri, ormai da tempo adulti, continuano a sentire la stessa musica d'un tempo. E i ragazzi di oggi, quando si stancano dei passeggeri fenomeni di classifica, vanno a cercare proprio fra quei vecchi dinosauri, tutta gente che era già in scena quando loro non erano ancora nati, la colonna sonora delle proprie giornate. O meglio: la playlist dei loro aggeggini supertecnologici.

Perchè? C'è chi è convinto che il miglior rock di sempre sia quello che è stato sfornato fra la fine degli anni Sessanta e i Settanta. E finchè lo dicono i ragazzi di allora - ormai padri o addirittura nonni - non ci sarebbe di che meravigliarsi: ogni generazione ama infatti la musica dei propri anni verdi, che nel ricordo diventa parte di una gioventù sempre rimpianta.

Ma quando il giudizio viene confermato anche da una parte dei ragazzi di oggi, beh, allora il dubbio comincia ad affiorare. Vuoi vedere che per davvero in quegli anni di creatività, ideali, speranze e “buone vibrazioni”, è stato pensato e suonato anche il miglior rock, la miglior musica popolare che orecchie ricordino?

Buon compleanno allora al grande David Crosby, che una quarantina abbondante d’anni fa, prima con i Byrds e poi con Stills, Nash e Young, scrisse e suonò alcune delle cose migliori della cosiddetta West coast (che ora sembra tornare in auge con il folk-rock dei Fleet Foxes, il gruppo di Seattle che si ispira proprio a quegli anni). E da solista - ben prima di avere grossi guai di salute e con la giustizia, tutti per fortuna risolti - ha lasciato agli annali un album capolavoro come “If I could only remember my name”, uscito giusto quarant’anni fa, nel ’71.

Ma buon compleanno e lunghissima vita anche a Leonard Cohen, Joni Mitchell, Tina Turner, Mick Jagger, Paul McCartney, Bob Dylan... Senza di loro, senza tutti gli altri arzilli nonnetti che ancora zompettano sui palchi di mezzo mondo, influenzando fra l’altro molti giovani artisti, saremmo tutti un po’ più poveri. E tristi.

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