giovedì 13 dicembre 2012

Addio a RAVI SHANKAR, fra Beatles e NorahJones

Non solo un virtuoso del sitar. Ravi Shankar, morto a 92 anni in un ospedale di San Diego per i postumi di un intervento al cuore, è stato anche colui che iniziò negli anni Sessanta prima George Harrison e poi gli altri Beatles alla musica e alla cultura indiana. E il primo artista orientale a diventare qualcosa di simile a una popstar, vera icona hippy a Woodstock e al Monterey Pop Festival. E l'iniziatore dei grandi raduni musicali per beneficenza, con il Concert for Bangladesh del '71. E il padre della world music, sempre secondo Harrison. Non vi basta ancora? Eccovi accontentati: ultimo ma non ultimo, era anche il padre di una certa Norah Jones. E dire che la sua storia era partita in maniera diversa. Nasce nel 1920 nella terra santa di Varanasi, da una famiglia di brahmini. Giovinezza tra Asia ed Europa, con il gruppo di danza del fratello Uday. A 18 anni capisce che non è la sua strada, s'innamora del sitar, scrive musiche per il cinema, diventa direttore dei programmi musicali di All India Radio, rete radiofonica nazionale. Verso la fine degli anni Cinquanta viaggia tra Europa e Stati Uniti, facendo conoscere una tradizione musicale poco nota in Occidente. Il violinista classico Yehudi Menuhin lo ascolta e, colpito dai suoi virtuosismi, lo invita a suonare negli States. Alle perplessità iniziali subentra l'interesse. Ma la svolta avviene nel '66, quando Shankar incontra a Londra George Harrison, da tempo attratto dal sitar e dalla musica indiana. È quasi un colpo di fulmine. L'irrequieto Beatle lo segue in India, dove si ferma per sei settimane a studiare la tecnica strumentale. Successivamente arrivano anche gli altri tre Baronetti, in pellegrinaggio a Rishikesh nel '68 a seguito del santone Maharishi Mahesh Yogi. L'influenza si sente, nelle successive opere dei Fab Four. Alla fine dei Sessanta, Ravi Shankar è una superstar internazionale. Suona al Monterey Pop Festival e a Woodstock, il sitar diventa strumento necessario per qualsiasi artista o band occidentale che voglia sprovincializzarsi, dai Rolling Stones agli Yardbirds. Nel '71 convince Harrison a organizzare il Concert for Bangladesh, primo "live" benefico della storia a sostegno della popolazione della regione indiana colpita da un ciclone e martoriata dalla guerra civile. Al Madison Square Garden arrivano Bob Dylan ed Eric Clapton, Ringo Starr e Leon Russell e tanti altri. Seguono album triplo, film, fama planetaria. Nei successivi tour il maestro sembra voler innanzitutto colmare il divario, almeno quello musicale, fra Oriente e Occidente. Famiglia numerosa e turbolenta, come si conviene alle star: vari matrimoni e figli, ma la storia più celebre è quella con l'organizzatrice di concerti newyorkese Sue Jones. Nel '79 nasce Norah Jones, ma la cantautrice non avrà mai un buon rapporto col padre. Al contrario della sorella Anoushka Shankar, nata nell'81 dall'unione con la musicista Sukanya Rajan: sul sitar ha le stesse mani del padre, da lei adorato. Il resto? Tre Grammy Award, una nomination all'Oscar per la colonna sonora del film "Gandhi", la Legion d'onore, un'influenza permanente e duratura sulla musica contemporanea, tantissimo altro. Qualcuno dice che non ci sarebbe stata world music, senza di lui. (Da affermata star internazionale, Ravi Shankar continua però vivere in India, spostandosi spesso all'estero per registrare dischi ed esibirsi in lunghi tour, per tenere concerti, per partecipare a festival. E all'estero, negli Stati Uniti diventati nel tempo sua seconda patria, affronta un'operazione al cuore tecnicamente riuscita, ma non superata a causa dell'età avanzata. Ha scritto George Harrison in una biografia: «Ravi è sempre visto come un guru e una figura paterna, ma per me è principalmente un amico: senza di lui non sarei riuscito a entrare così facilmente nell'esperienza indiana». Nello stesso libro, quasi a sorpresa, il musicista indiano rivela: «Devo ammettere che le voci dei Beatles non mi facevano impazzire. Il più delle volte cantavano in falsetto, cosa che da allora è sempre rimasta in voga. Ma molti dei loro pezzi mi piacciono, soprattutto "Here comes the sun" e "My sweet Lord", scritti da George...».) In India, in queste ore, c'è il cordoglio riservato alle più alte cariche dello Stato: il primo ministro indiano Manmohan Singh ha espresso tristezza evocando la perdita di un «tesoro nazionale e di un ambasciatore mondiale dell'eredità culturale dell'India. Si è chiusa un'era, la nazione si unisce a me per rendere omaggio al suo genio insuperabile, alla sua arte e alla sua umiltà».

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