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mercoledì 2 gennaio 2013
MUMFORD&SONS - BRYAN FERRY
A Firenze, dove il 15 marzo terranno uno dei concerti del loro breve e attesissimo tour italiano (le altre date: 14 a Milano, 16 a Roma, entrambe ovviamente già “sold out”), gli organizzatori hanno dovuto spostare la location dal locale di media grandezza dov’era originariamente previsto lo spettacolo al palasport, vista la forte richiesta di biglietti.
Anche questo è un segnale del grande successo che sta premiando, in Italia e in mezzo mondo, i Mumford & Sons. Diventati con soli due album all’attivo uno dei maggiori fenomeni musicali dell’anno che abbiamo appena passato agli archivi.
La loro ricetta? Profuma di antico, di anni Sessanta più ancora che di Settanta: il vecchio caro folk sciacquato nel grande fiume del rock, banjo (a volte suonato come una chitarra elettrica) e chitarre, suoni acustici e sgroppate elettrice.
Nato a Londra nel 2007, il gruppo è composto da Marcus Mumford (voce, chitarra e batteria), Winston Marshall (voce, chitarra e banjo), Ben Lovett (voce, organo e tastiera) e Ted Dwane (voce e contrabbasso). Dopo tre “ep”, hanno debuttato nell’ottobre 2009 con l’album “Sigh no more”: un milione di copie vendute e secondo posto nelle classifiche inglesi e americane.
“Babel”, il loro secondo album, pubblicato a settembre, ha stazionato a lungo ai vertici delle classifiche di vendita sia negli Stati Uniti che in Inghilterra.
Ora, in attesa del prossimo disco nel quale promettono di abbracciare suoni e atmosfere elettroniche, senza disdegnare persino l’uso dei sintetizzatori, i quattro baldi giovani - giusto per battere il ferro finchè è caldo - pubblicano un cofanetto comprendente l’album citato, sia in cd che in versione vinile (e anche questa scelta la dice lunga sulle origini del gruppo...), un libro di un centinaio di pagine ma soprattutto un dvd, intitolato “The road to red rocks”, che permette a chi già li conosce ma soprattutto a quanti ancora non li hanno mai sentiti di fare la conoscenza, nella versione live, della band.
Riviviamo allora la festosa atmosfera del concerto tenuto l’estate scorsa nell’anfiteatro di Red Rocks, in Colorado, che ci restituisce il gruppo in un autentico momenti di grazia.
Nel dvd, che comprende anche un documentario girato durante il tour dell’anno scorso, quel che colpisce è soprattutto l’energia che la band riesce a tirar fuori dai propri strumenti (chitarra, batteria, mandolino, tastiera, banjo, basso, pianoforte, contrabbasso) e dalla voce di Marcus Mumford. Con brani come “Little lion man”, “Lovers eyes”, “Roll away your stone”, “Lover of the light”, “Thistle & weeds”, “Ghosts that we knew”...
Da tenere d’occhio. Non sembrano assolutamente un fuoco di paglia.
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BRYAN FERRY ORCHESTRA
THE JAZZ AGE
(Bmg)
Si sapeva che l’ex Roxy Music amasse il jazz dei tempi belli. E lo aveva dimostrato già nel ’99, pubblicando “As time goes by”, godibilissima raccolta di standard degli anni Trenta. Stavolta, per celebrare i suoi quarant’anni di carriera, si regala - e ci regala - un’operazione ancor più coraggiosa. Dimentica di essere un cantante con i controfiocchi, si pone alla guida di un’orchestra e le affida la rilettura del suo ricchissimo repertorio (da solista e con i Roxy Music), spostando l’orologio della musica indietro di quasi cent’anni.
Spazio allora ai suoni senza tempo degli Hot Seven di Louis Armstrong, dei Wolverines di Bix Beiderbecke, della Original Dixieland Jazz Band e delle orchestre di Duke Ellington e Humphrey Lyttelton... Sembra allora di rivivere gli anni del Grande Gatsby, dei romanzi di Francis Scott Fitzgerald, dei grammofoni a manovella. Per classici come “Do the strand” e “Don’t stop the dance”, “Avalon” e “The bogus man”, “Love is the drug” e “Virginia plain”.
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