TRIESTE Ieri sera, dopo tanti anni, Claudia Cardinale ha rivisto al Trieste Film Festival il film «Senilità», che non vedeva da tanto tempo. Ha rivisto la sua Angiolina, ha forse ricordato quei lontani giorni delle riprese triestine del film di Bolognini, la sorpresa nello scoprire per la prima volta la bora... E stamattina la grande signora del cinema italiano riparte per Parigi, dove vive da diciotto anni, forse proprio con l’immagine della sua giovane Angiolina negli occhi.
Claudia Cardinale arriva con la bellezza dei suoi imminenti settant’anni portati senza trucchi e senza inganni. Una bellezza che è figlia di quella acerba e sfrontata che fu di Angiolina nel film «Senilità».
Quanto tempo è passato? Troppo. Ma lei pare infischiarsene. Giustamente. Entra nella saletta del moderno hotel vicino piazza Unità dove si svolge l’incontro con il pubblico. L’applauso è al tempo stesso caloroso e rispettoso del mito che si materializza. La signora dribbla le presentazioni rivendicando il suo essere innanzitutto «una persona normale».Una persona normale che non è mai stata tradita dalla macchina da presa, e che detiene forse il record dei film tratti da opere letterarie. Scorrere la sua filmografia è come ripassare la storia del cinema. «Sì - ammette Claudia Cardinale, nata in Tunisia da genitori di origine siciliana - ho avuto il privilegio di lavorare con i maestri del cinema, in un periodo magico com’erano gli anni Sessanta, quando c’era ancora il bianco e nero che io amo molto perchè ti permette di sognare».
E chissà quanti sogni faceva, quella ragazzina eletta a diciott’anni «la più bella italiana di Tunisi» e spedita in viaggio premio a Venezia. «Il cinema - confessa - mi ha salvato la vita. Mi ha aiutato a tirar fuori quel che avevo dentro. Ero una ragazzina introversa, non parlavo mai. Praticamente una selvaggia. Grazie al cinema ho vissuto cento vite. Sono stata principessa e puttana, santa e donna del popolo. Mi ha sempre affascinato vivere altre vite. Ma non ho mai fatto me stessa, al cinema. Perchè mi sono sempre imposta di separare la vita dalla finzione cinematografica».
Una finzione che all’inizio ha riguardato anche quella voce così particolare. «Agli esordi sembrava un ostacolo. Dicevano che non andava bene, che era strana, troppo bassa, un po’ alla Louis Armstrong. Avevo finito per crederlo anch’io. E mi ero ormai abituata a essere doppiata, nei film. Finchè non è arrivato Fellini, con il suo fiuto straordinario, e mi è stata restituita la mia voce».
Fellini, dunque, che sul set era tutto caos e improvvisazione. Mentre Visconti pretendeva silenzio assoluto. Quasi come a teatro. Quel teatro scoperto tardi. «Tanti anni fa ho detto no anche a Strehler. Che stupida... Poi hanno insistito sia Scaparro che il mio compagno, Pasquale Squitieri. Finchè ho detto sì. Prima una ”Venexiana” a Parigi, nel 2000, poi Pirandello, Tennessee Williams, ma anche Andrea Liberovici».
Cinema e teatro: due mondi, due dimensioni antitetiche. «A teatro c'è il rischio, se sbagli non puoi ripetere l'inquadratura come si fa al cinema. E non c’è più nemmeno il suggeritore che ti salva quanto dimentichi una battuta. Al cinema è fondamentale la capacità di trasmettere emozioni con il viso, con i gesti, con tutto il corpo. Per questo Marlon Brando era il più grande di tutti».
All’inizio, a teatro, aveva paura. «Poi l'ho superata. Non volevo sentir parlare di palcoscenico. Ero terrorizzata. Io, che sono abituata a flirtare con la macchina da presa, qualche volta mi sento fragile, ma so anche prendermi i miei rischi. Proviamo, mi sono detta. A Parigi, nelle prime settimane di prova, non riuscivo nemmeno a mangiare. Però tutti mi sono stati vicini, tutti mi hanno aiutata. Da un certo momento in poi, non ho avuto più tempo per aver paura...».
C’è tempo per altri ricordi: citazioni, aneddoti, commossi ultimi incontri. «Bolognini mi manca, è sempre dentro di me. Ci capivamo al volo, senza bisogno di parole. Quasi come Zurlini, un vero esteta, che mi chiamava Lumumba per le mie origini africane...». Già, l’Africa, quel cuore africano che batte sempre forte. Il cuore di una figlia di emigranti che non ha mai spesso di emigrare. «Vivo a Parigi da diciotto anni. Ci sto bene, lì c’è rispetto per gli artisti, per la cultura. È una città dove posso condurre una vita normale».
Ma qui non si può non parlare anche di Trieste, di «Senilità», di Angiolina. «Trieste l’ho sempre trovata meravigliosa. Così austera, con i suoi palazzi, la sua piazza. In tutti questi anni sono tornata tante volte, anche l’anno scorso, per fare ”Lo zoo di vetro” a teatro. Ma di quella prima volta ricordo ancora la sorpresa della bora, di questo vento forte che un giorno, durante le riprese del film, quasi mi ha spaventato. E poi il freddo, tanto che anche stavolta, nel dubbio, mi sono portata la pelliccia... Cambiata la città? No, non mi sembra. Forse è un po’ migliorata, ma ho sempre subito il fascino di questo luogo dove si incontrano e convivono etnie e tradizioni diverse».
Ieri sera, dunque, Claudia Cardinale ha rivisto «Senilità». E chissà che non porti un pezzetto di Angiolina nei tre progetti che ha per il 2008: un film francese a Marsiglia, con il Jacques Perrin de «La ragazza con la valigia»; uno in Tunisia con un giovane regista tunisino, e poi un film («con un grande regista italiano... il più grande... ma non dico il nome perchè non abbiamo ancora firmato il contratto...») tratto da «Il primo uomo» di Camus. Ancora cinema e letteratura, insomma. Per una grande signora che confessa: «Io amo il silenzio, vivo da sola nel silenzio...».
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