lunedì 5 ottobre 2009

O' SCIA' 2009 - LAMPEDUSA


dall’inviato

CARLO MUSCATELLO


LAMPEDUSA Tocca ancora una volta alla musica seminare idee e parole di speranza, rispetto, solidarietà. Lampedusa, estrema propaggine meridionale d'Italia e d'Europa, quaranta chilometri quadrati d'isola più vicina alle coste africane che a quelle siciliane, in lutto per la tragedia di Messina. Qui Claudio Baglioni ha casa da tanti anni. Qui dal settembre 2003 organizza O' Scià, fiato mio o respiro mio nel dialetto dell'isola. Espressione usata dai locali come saluto amichevole, ma ora anche acronimo di Odori Suoni Colori d'Isole d'Alto mare.

Accoglienza, non respingimenti. Un appello-invito a cui ormai è diventata quasi una tradizione che rispondano ogni anno, quando a queste latitudini l'estate non vuol terminare, una nutrita schiera di artisti amici di uno dei cantautori più amati e popolari di casa nostra. «E se una cosa del genere l'ha inventata lui, che non ha mai fatto dell'impegno una bandiera - dice Daniele Silvestri, uno dei protagonisti dell'edizione di quest'anno, conclusasi l'altra notte - è chiaro che assume un valore ancor maggiore…».

«Nessun uomo è un'isola, ogni respiro è un uomo», filosofeggia Baglioni, da quasi quarant'anni artista di successo da milioni di dischi venduti e da tournèe interminabili, che cura questa sua piccola grande creatura con affetto particolare e quasi paterno. Quando ne parla sembra che gli brillino gli occhi. «Avevo cominciato - dice - con un mio concerto sulla spiaggia della Guitgia, come atto d'amore per quest'isola e per attirare l'attenzione sul dramma dell'immigrazione clandestina, sugli sbarchi, sui viaggi della speranza che spesso finivano e finiscono in tragedia per esseri umani in cerca di un futuro migliore».

Poi, anno dopo anno, edizione dopo edizione, la manifestazione è cresciuta. Ora ha l'alto patronato della Presidenza della Repubblica e si svolge con il contributo del Ministero dell'Interno e di importanti enti e organizzazioni. È nata anche una Fondazione O' Scià. E sul grande palco eretto sulla più popolare spiaggia lampedusana si sono alternati in questi anni decine e decine di artisti di prima grandezza. Partecipazioni a titolo gratuito, in un mondo come quello dello spettacolo dove impera - come quasi dappertutto, del resto - il dio denaro, fatte per amicizia nei confronti di Claudio e per condivisione dei valori alla base del progetto.

Quest'anno c'erano Alessandra Amoroso e Marco Carta (i più festeggiati dai giovanissimi), Alice e la Pfm, Renzo Arbore e Gianna Nannini, Fiorella Mannoia e Marco Ferradini, Angelo Branduardi e Laura Bono, Edoardo Vianello e Annalisa Minetti, Laura Bono, un certo Giovanni Baglioni e il citato Silvestri… Ma anche attori e comici come Ficarra e Picone, Enrico Montesano, Maria Grazia Cucinotta, Enrico Brignano.

Ognuno ha cantato le sue canzoni, quasi tutti hanno duettato con il padrone di casa, in un'atmosfera di grande semplicità e fratellanza. Non a caso i momenti migliori della rassegna sono coincisi con alcuni duetti: quello con Alice in "La cura" di Battiato (del quale la cantante ha proposto anche un'emozionante "Prospettiva Nevskji"), ma anche quelli con la Mannoia in "Amore bello", con la Amoroso in ”Io me ne andrei”, con il figlio chitarrista in ”Vivi”, persino quello un po' stonato con Gianna Nannini - che ha chiuso l'ultima serata, prima del commiato di Baglioni sulle note di ”Strada facendo” - nella classicissima "Fotoromanza".

Una curiosità. Le immagini delle serate vengono immortalate da un triestino: il regista Andrea Sivini, da anni collaboratore del cantautore romano (ha firmato i suoi recenti filmati e dvd) e cameraman ufficiale della manifestazione. E un altro triestino trapiantato sull’isola, Paolo Brandolisio, cura il catering per gli artisti e gli ospiti del backstage.

Da alcuni mesi, da quando cioè è cominciata la politica dei cosiddetti respingimenti - da molti definita inumana - da parte del governo italiano ed è stato introdotto il reato di immigrazione clandestina, il Centro di Prima Accoglienza qui è vuoto. E nelle vie del piccolo centro storico, fra gli abitanti del luogo e i turisti che inseguono l'estate a sud, gli extracomunitari che incroci si contano sulle dita delle mani. Ma il problema ovviamente è lungi dall'essere risolto.

«Bisogna guardare all'immigrazione - dice Baglioni - senza indifferenza ma anche senza buonismo. La politica deve fare quello per cui è nata: non basta abbassare la febbre, bisogna curare la malattia. E ciò significa intervenire sulle cause che costringono decine di migliaia di persone a lasciare tutto e rischiare la vita attraversando questo mare per inseguire il sogno di una vita degna di essere vissuta».

«Dietro gli sbarchi - prosegue l'artista - ci sono nomi, occhi, cuori, carne, ossa. Dolore e speranza. L'oltraggio di un passato incapace di garantire un futuro, la speranza disperata di un presente che possa restituire il futuro rubato. Ma soprattutto l'immagine più evidente di una democrazia che si scopre inadeguata a governare società sempre più vaste e complesse, nelle quali fedi, culture, storie, tradizioni e linguaggi sembrano incapaci di incontrarsi e capaci solo di scontrarsi, rischiando ogni volta di prendere fuoco ed esplodere».

Ancora Claudio: «Se la maggioranza è fatta da quelli che stanno meglio, tutela i diritti solo dei più forti. Il divario con i più deboli aumenta sempre più. Non possiamo fingere di ignorare che torto, ragione, responsabilità, colpa, legalità, diritto siano parole che assumono un significato completamente diverso se pronunciate nella serenità di casa nostra o nel buio gelido di una notte d'alto mare».

A Baglioni quest'anno qualcuno ha chiesto, fra il serio e il faceto, di fare il sindaco di Lampedusa. Lui ha sorriso dicendo che un mestiere ce l'ha già. Ma quando altri gli suggeriscono di proporre l'isola per il Premio Nobel per la pace, lui si fa serio: «Non è mai stato dato a una città, a un luogo. Ma penso che sarebbe una cosa straordinaria. Per eleggere quest'isola a luogo simbolo dell'integrazione fra le culture come unico viatico per un futuro di pace e speranza».

Insomma, quarant'anni dopo l'utopia di poter cambiare il mondo attraverso la musica, resiste l'ambizione di dettare alle istituzioni e alla politica - spesso inadeguate se non latitanti - le vere urgenze all'ordine del giorno.

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