sabato 27 marzo 2010

DANILO DOLCI


Quarant’anni fa un triestino fondava in Sicilia la prima radio libera. Per denunciare la mafia e le drammatiche condizioni di vita dei terremotati del Belice. E rompendo di fatto, per la prima volta, il monopolio radiofonico della Rai.

Lui si chiamava Danilo Dolci, era nato nel ’24 a Sesana (all’epoca provincia di Trieste) da padre lombardo e madre slovena, prima di andare a studiare a Milano e a Roma e poi, dal ’52, a vivere e lottare in Sicilia. Dove si guadagnò la stima del mondo e l’appellativo di ”Gandhi italiano”. E dove anticipò di diversi anni, con Radio Partinico Libera, quel fenomeno delle cosiddette radio libere che poi si sarebbe diffuso soprattutto nell’Italia della seconda metà degli anni Settanta.

L’anniversario sarebbe passato quasi sotto silenzio se l’altra sera Michele Santoro, aprendo il suo ”Raiperunanotte” dal palasport di Bologna, organizzato assieme alla Fnsi (il sindacato dei giornalisti) dopo la sospensione di ”Annozero” e degli altri talkshow politici, non l’avesse ricordato citando i suoi antichi ”sos” dalla terra siciliana.

Era il marzo del 1970, e l’intellettuale triestino - come lo definì Piero Calamandrei che lo difendeva in un processo - s’inventò quella radio di fatto clandestina per denunciare le condizioni di degrado in cui versavano le zone della Valle del Belice, dello Jato e del Carboi a due anni dal terremoto del 1968, ma anche per protestare contro il disimpegno dello Stato e il dominio mafioso nella gestione del denaro pubblico destinato alla ricostruzione. Per Dolci la radio significava innanzitutto offrire alla gente la possibilità di conoscere un’opinione diversa, dire qualcosa che gli altri non volevano o non potevano dire.

<USNUOVA>Inizialmente l’idea era quella di trasmettere da un’imbarcazione in acque extraterritoriali, per eludere le leggi italiane sulle telecomunicazioni. Ma l’idea fu presto abbandonata per le imprevedibili condizioni del mare e per il più che probabile arresto dei responsabili non appena entrati in acque territoriali, nonché per la volontà degli stessi organizzatori di non interferire con le comunicazioni radiofoniche del vicino aeroporto di Punta Raisi.

Si scelse allora di trasmettere da terra, dalla sede del Centro Studi e Iniziative di Partinico, paesotto vicino Palermo. Diedero il loro contributo esperti nel campo delle telecomunicazioni e della giurisdizione in materia. E tutto il progetto fu preparato nel massimo riserbo per evitare un intervento preventivo delle forze dell’ordine: le stesse antenne necessarie alla trasmissione furono issate sull’edificio pochi minuti prima della trasmissione e soltanto dopo il tramonto.

Furono trasmesse le registrazioni di testimonianze raccolte da Dolci e dai suoi collaboratori sulle condizioni di vita dei terremotati, alternate a brani musicali della tradizione popolare. Furono trasmesse più volte, in italiano e in inglese, fino all’arrivo delle forze dell’ordine, che chiusero la baracca ponendo così fine alla prima esperienza italiana di radio libera.

«La radio clandestina di Partinico - scrisse il giorno dopo, il 27 marzo 1970, il Giornale di Sicilia - ha trasmesso per sole ventisette ore. Stasera verso le 22, l’avventura di Franco Alasia e Pino Lombardo, i due collaboratori di Danilo Dolci che si erano barricati dentro per trasmettere un lungo programma registrato in precedenza, si è conclusa in pochi minuti con un’azione a sorpresa di polizia e carabinieri».

Diceva Danilo Dolci nel messaggio di apertura delle trasmissioni: «Siciliani, italiani, uomini di tutto il mondo, ascoltate: si sta compiendo un delitto, di enorme gravità, assurdo: si lascia spegnere un’intera popolazione. La popolazione delle Valli del Belice, dello Jato e del Carboi, la popolazione della Sicilia occidentale non vuole morire. Siciliani, italiani, uomini di tutto il mondo, avvisate immediatamente i vostri amici, i vostri vicini: ascoltate la voce del povero cristo che non vuole morire, ascoltate la voce della gente che soffre assurdamente. Siciliani italiani, uomini di tutto il mondo, non possiamo lasciar compiere questo delitto: le baracche non reggono, non si può vivere nelle baracche, non si vive di sole baracche. Lo Stato italiano ha sprecato miliardi in ricoveri affastellati fuori tempo, confusamente: ma a quest’ora tutta la zona poteva essere già ricostruita, con case vere, strade, scuole, ospedali. Le mani capaci ci sono, ci sono gli uomini con la volontà di lavorare, ci sono le menti aperte a trasformare i lager della zona terremotata in una nuova città, viva nella campagna con i servizi necessari, per garantire una nuova vita...».

Ancora: «Questa è la radio della nuova resistenza: abbiamo il diritto di parlare e di farci sentire, abbiamo il dovere di farci sentire, dobbiamo essere ascoltati. La voce di chi è più sofferente, la voce di chi è in pericolo, di chi sta per naufragare, deve essere intesa e raccolta attivamente, subito, da tutti».

Rimane l’importanza di un’esperienza, ”la radio dei poveri cristi” come la chiamavano i siciliani, di grande valore civile e di indubbia valenza anticipatrice. Dovevano infatti passare ancora diversi anni perchè la Corte Costituzionale riconoscesse la legittimità delle libere trasmissioni, rompendo anche in diritto, dopo che di fatto, il monopolio radiotelevisivo pubblico. Rimane la figura di un educatore e di un intellettuale che ha messo la propria vita e le proprie capacità al servizio della legalità e della povera gente.

Danilo Dolci è morto a Trappeto, in provincia di Palermo, il 30 dicembre 1997. La Sicilia pulita lo ricorda da tempo fra i suoi eroi civili. Trieste non lo ha mai ricordato come sarebbe stato giusto e necessario. Forse perchè era un triestino nato a Sesana?

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