venerdì 26 marzo 2010

HENDRIX / JOPLIN / MORRISON


Il rock ha meno di sessant’anni, visto che convenzionalmente lo si fa nascere nel ’54 con il brano ”Rock around the clock”. Ma la sua strada è da sempre lastricata di morti più o meno misteriose. Alcune delle quali concentrate a cavallo fra il ’70 e il ’71. Giusto quarant’anni fa.

Tre artisti in particolare sono macabramente accomunati da un paio di elementi. Avere il nome che cominciava per ”J” ed essere morti tutti a ventisette anni, nel pieno di un furore creativo che, unito alla morte in giovane età, li ha subito trasformati in mito.

Stiamo parlando ovviamente di Jimi Hendrix, Janis Joplin e Jim Morrison. Il chitarrista di Seattle muore in una camera d’albergo a Londra il 18 settembre del ’70; passano solo due settimane e il 4 ottobre ’70 se ne va per overdose di alcol ed eroina anche la cantante texana; meno di un anno dopo, il 3 luglio del ’71, viene trovato morto nella sua stanza d’albergo parigina il leader e cantante dei Doors.

Per loro, ma anche per Brian Jones, dei Rolling Stones, che era morto annegato nella sua piscina il 3 luglio del ’69, alcuni parlarono di una ”maledizione del J 27”. Per la quale esiste anche uno storico precedente d’annata: nel 1939 era infatti morto avvelenato da un marito geloso il grande bluesman Robert Johnson, che aveva - guarda caso - proprio ventisette anni.

Johnson a parte, la presunta maledizione ha avuto, per gli artisti finora citati ma anche per altri (da Tim Buckey a Jerry Garcia), molto a che fare con l’uso e l’abuso di droghe. Anche se le ”grandi morti del rock” hanno contemplato tragici finali quasi di tutti i tipi: dai gettonatissimi incidenti aerei (Buddy Holly, Richie Valens, Otis Redding, John Denver, Jim Croce, mezzi Lynyrd Skynyrd...) a quelli in motocicletta (Duane Allmann), dagli omicidi (John Lennon, Marvin Gaye, Sam Cooke) ai suicidi (Kurt Cobain, morto anche lui a ventisette anni), fino alla morte per annegamento (Jeff Buckley, figlio di Tim).

Senza dimenticare i due lutti forse più importanti, assieme a quello di Lennon: Elvis Presley e Michael Jackson. Il re del rock ucciso nel ’77 da un mix di cibo, farmaci, droghe, eccessi di ogni tipo. Il re del pop ammazzato l’estate scorsa da un farmaco iniettatogli dal medico che doveva curarlo (ma il procedimento giudiziario è ancora in corso).

Spesso, dietro a queste morti, si sono sviluppate vere e proprie leggende metropolitane, alimentate da dubbi, illazioni, congetture di ogni tipo. E dunque non manca mai qualcuno che giura di aver visto Elvis Presley in un paesino del Sud America, o Jim Morrison in un atollo tropicale, o ancora Jimi Hendrix confuso fra la folla di una qualche grande città.

Rimane il triste anniversario di quei tre ragazzi - fra i tanti protagonisti del rock scomparsi - che se ne andarono da questo mondo più o meno quarant’anni fa. Un periodo particolare. Woodstock aveva da poco chiuso i battenti. Calando forse inconsapevolmente il sipario anche sul sogno di una nazione alternativa, di un mondo diverso e migliore.

Woodstock grande esperienza collettiva ma anche gigantesco esperimento di business: la comunità rock che fa le prove generali per diventare mercato globale del rock. Punto più alto della controcultura giovanile, all’incrocio fra musica e politica, sull’onda del movimento contro la guerra nel Vietnam che due anni prima aveva portato mezzo milione di persone in piazza a Washington. E al tempo stesso canto del cigno, funerale dei sogni e degli ideali e delle utopie degli anni Sessanta.

Jimi Hendrix fu il protagonista dell’epica chiusura del festival. Nelle intenzioni degli organizzatori Woodstock doveva terminare domenica 17 agosto ’69, ma il chitarrista aveva insistito per essere l’ultimo a esibirsi e salì sul palco alle nove del mattino di lunedì 18 agosto. La maggior parte degli spettatori era già ripartita, e ”soltanto” ottantamila persone assistettero a quelle due ore di performance, con l’inno americano fatto a brandelli dalla chitarra elettrica. Una straziante, allucinata versione psichedelica si ”Star Spangled Banner”, volutamente distorta in una provocazione diventata il simbolo della protesta pacifista e antimilitarista.

Hendrix morì un anno e un mese dopo, in circostanze tuttora avvolte dal mistero. La causa ufficiale è che sia stato soffocato dal suo stesso vomito, quello che avvenne in quei tragici minuti però non è chiaro. Jimi riuscì a chiedere aiuto al suo manager ma pare che i soccorritori invece di farlo mettere di lato in modo da liberare la trachea lo tennero sdraiato facendolo così soffocare.

Da poco sono stati pubblicati dei suoi inediti (”Valleys of Neptune”), un segno anche questo di quanto la sua memoria - e quella di Janis Joplin, e di Jim Morrison - sia viva e vitale a distanza di quarant’anni.

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