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lunedì 15 aprile 2013
NILS LOFGREN: IO E SPRINGSTEEN
«Se ricordo il concerto di Trieste? Sì, sono tanti anni che veniamo a suonare in Italia ma per noi è sempre una grande festa, un evento speciale. I nonni materni di Bruce sono italiani, mia nonna era di Nicosia, in Sicilia, quindi almeno per noi due suonare da voi ha davvero un significato particolare...».
Nils Lofgren è da quasi trent’anni il chitarrista di Bruce Springsteen. Entrò nell’84, quando Little Steven lasciò la E Street Band per la carriera solista. E anche quando nel ’95 il collega tornò all’ovile, il Boss volle tenerli entrambi nella band. Anzi, nella grande famiglia.
Domani la Sony pubblica l’album “Collection: 1973-2012”, il nuovo album di Springsteen. Fra qualche settimana il “Wrecking Ball Tour” - che l’estate scorsa ha fatto tappa anche allo Stadio Rocco di Trieste - torna dalle nostre parti: 23 maggio a Napoli, 31 a Padova, 3 giugno a Milano, 11 luglio a Roma. La caccia al biglietto è già da tempo partita. E per l’occasione, Lofgren risponde ad alcune domande dalla sua casa in Arizona, dove riposa in una pausa del lungo tour mondiale.
«Con Bruce ci conosciamo dagli anni Settanta - ricorda il chitarrista, classe 1951, nato a Chicago -, quando io suonavo con i Grin, il gruppo con il quale ho debuttato. Quando mi chiamò fu per me una grande soddisfazione. Sono passati quasi trent’anni, ancora non mi sembra vero».
Cosa significa suonare con Springsteen?
«Significa far parte della più grande rock’n’roll band di sempre. Ormai non siamo neanche una band, ma una famiglia. Fra noi c’è un rapporto che supera anche l’amicizia, siamo come fratelli, uniti dalla musica. E penso che il pubblico lo avverta».
Che differenza c’è fra il tour di quest’anno e quello dell’anno scorso?
«Bruce cambia scaletta quasi ogni sera, dunque ogni concerto fa storia a sè. Diciamo che c’è più confidenza, più familiarità con i brani del nuovo disco. Alcuni arrangiamenti sono cambiati, c’è più spazio per l’improvvisazione».
In Australia com’è andata?
«Davvero bene. La macchina ormai è ben rodata. C’è grande entusiasmo, l’eccitazione sul palco è palpabile, si va a memoria. E in Italia sarà ancora meglio».
Com’è il Boss sul palco?
«Sa gestire la situazione alla perfezione, non gli sfugge alcun particolare. Ma al tempo stesso lascia grande libertà a tutti noi. Insomma è il Boss ma non fa il boss, fra noi c’è stima reciproca, e lui ha anche un notevole senso dell’umorismo».
Lei ha suonato con star come Neil Young, Ringo Starr, Mark Knopfler. Una parola su ognuno.
«Con Neil ho praticamente cominciato la mia carriera. Ero giovanissimo quando ho suonato con lui in “After the gold rush” e poi in “Tonight’s the night”. Recentemente gli ho dedicato un disco-tributo, “The loner - Nils sings Neil”, con dentro le sue canzoni che preferisco».
Ringo Starr?
«Viene considerato il meno importante dei Beatles, oscurato com’era da una coppia come Lennon e McCartney. Ma è un grande artista. E fra i quattro ha fatto la sua parte. Per me è stata una grande esperienza lavorare con lui».
Mark Knopfler?
«Un grande chitarrista e un ottimo professionista. Abbiamo lavorato assieme negli anni Ottanta. E da uno come lui si impara sempre qualcosa».
Lei ha cominciato con il pianoforte.
«Da bambino suonavo la fisarmonica, poi il pianoforte, che ho studiato seriamente per dieci anni. Poi tramite mio fratello ho scoperto il blues, il rock e la chitarra. Che non ho più abbandonato».
Quali artisti l’hanno più influenzata?
«Da ragazzo ho assistito all’esplosione del rock, dei suoni nuovi, dei Beatles e dei Rolling Stones che arrivavano dall’Inghilterra. Ma una sera, dopo aver visto suonare gli Who e poi Jimi Hendrix, capii quanta potenza poteva nascere dal rock’n’roll».
So che insegna chitarra su internet.
«È vero, mi piace trasmettere qualcosa ai giovani. Restituire una parte di quello che ho ricevuto dal pubblico in tanti anni. E internet è una cosa eccezionale. Con una videocamera e un computer ho registrato le mie lezioni, e chiunque può scaricarle...».
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