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lunedì 13 febbraio 2017
ADDIO AL JARREAU
Se n’è andato Al Jarreau, autentica leggenda della musica nera. Fra un mese avrebbe compiuto 77 anni, da qualche giorno era ricoverato in ospedale a Los Angeles. Era arrivato da poco l’annuncio dell’annullamento di tutti i concerti che l’artista aveva in programma per i prossimi mesi. Un segnale che non lasciava presagire nulla di buono, anche se un post sulla sua pagina Facebook diceva che il cantante si stava riprendendo, che aveva cantato una canzone al figlio.
Nato a Milwaukee, Wisconsin, il 12 marzo 1940, Alwin Lopez “Al” Jarreau era figlio di un religioso. Aveva cominciato a cantare da bambino nel coro gospel della sua chiesa. Il debutto da professionista in piccoli jazzclub nei primi anni Sessanta. Nel ’65 il suo primo album, intitolato appunto “1965”, per l’etichetta Bainbridge. All’inizio non accadde nulla. L’album ebbe successo solo dieci anni dopo, quando la Reprise, l'etichetta di Frank Sinatra, lo aveva riportato sul mercato discografico, facendolo conoscere alla critica e al pubblico.
Nel frattempo, dopo una laurea in psicologia, Al aveva costruito la propria carriera ispirandosi al sound e all’eleganza di maestri come Nat King Cole. Per anni ha sfornato un successo dopo l’altro per l’etichetta Warner Bros. Tra gli altri, suo era il tema di della serie televisiva di successo degli anni Ottanta “Moonlighting”.
Sapeva mischiare jazz e swing, rhythm’n’blues e pop. Vincitore di ben sette Grammy Awards, è stato un indimenticabile interprete della “black music”, con successi come “We’re in this love together”, “Mornin’”, “Rainbow in your eyes”...
Il suo momento d’oro arriva fra gli anni Settanta e Ottanta, quando Al Jarreau diventa maestro indiscusso del pop-jazz americano più sofisticato. Partecipa ai più importanti jazz festival internazionali, sia negli Stati Uniti che in Europa. Riceve molti prestigioso premi.
Il suo nome rimane legato anche a molte cover di classici come “Your song” di Elton John, “Rainbow in your eyes” di Leon Russell, “Mas que nada” di Jorge Ben, oltre che all’adattamento vocale di “Take five” di Paul Demond. È molto richiesto nella sale d’incisione. Canta nei dischi di Quincy Jones, Shakatak, Chick Corea, Freddie Hubbard, Joe Sample, Larry Carlton, Bob James, Lee Ritenour.
Il primo Grammy lo conquista nel 1977 per “Look to the rainbow” come migliore cantante jazz, l'ultimo risale al 2007, quando ha ricevuto il grammofono d'oro per la sua interpretazione dello standard “God bless the chid”, assieme a George Benson e Jill Scott. Nel 1985 partecipa a “Usa for Africa, supergruppo della musica americana con Michael Jackson, Lionel Richie, Stevie Wonder e Bruce Springsteen, cantando “We are the world” prodotta da Quincy Jones. Il singolo ha venduto in trentadue anni venti milioni di copie, per un ricavato di sessanta milioni di dollari donati all’Africa. Nel 2013 duetta con Mario Biondi in “Light to the world”, nell’album “Sun”. “My old friend: Celebrating George Duke”, pubblicato nel 2014, è stato il suo ultimo lavoro discografico.
Quel comunicato stampa di pochi giorni fa non diceva la verità, ma ora somiglia a un addio. “Al sta migliorando lentamente”, diceva la nota. Ma “con suo enorme dispiacere dovrà smettere di fare tour. Al è grato per i suoi cinquant’anni di viaggi intorno al mondo e per chiunque abbia condiviso quest’esperienza con lui: il suo fedele pubblico, i dedicati musicisti e tutti coloro che gli sono stati di supporto nel suo lavoro”.
Insomma, la maledizione del 2016 sembra continuare nell’anno appena cominciato. Un altro grande della musica se n’è andato. Era di una generazione di artisti che hanno segnato la musica dei decenni passati.
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