lunedì 27 febbraio 2017

GUAITAMACCHI PRESENTA A TRIESTE IL SUO "ATLANTE ROCK"

Woodstock e il Greenwich Village, Haight-Ashbury e il Chelsea Hotel e ovviamente Abbey Road, ma anche New Orleans, Memphis, Chicago, Austin, Dublino. Quanti sono i luoghi del rock? Ezio Guaitamacchi li ha messi in fila nel suo “Atlante rock”, edito da Hoepli, che l’autore presenta oggi alle 18 alla Libreria Lovat, a Trieste. Guaitamacchi, enciclopedia rock o guida turistica? «Né l’una né l’altra, o entrambe le cose. Diciamo che questo “Atlante rock” può essere visto come un “racconto di viaggio”». Viaggio reale o virtuale? «I venticinque itinerari proposti nel libro li ho percorsi in quarant’anni anni di attività di “rock traveler”, quindi i miei sono stati tutti viaggi reali. Il lettore li può rivivere, replicare (anche per questo ci sono indirizzi e indicazioni di percorso), usando il libro come una guida, ma può anche sognare per un pomeriggio o per una notte di essere sulle strade del rock, nella California dei “figli dei fiori” o nella Dublino degli U2, a Liverpool con i Beatles o a New York con Lou Reed e Andy Warhol». Il suo primo viaggio rock? «Era l’estate del 1976, non avevo ancora vent’anni e con un gruppo di “disperati” partimmo per quella California che per noi, ragazzi degli anni Settanta, era davvero un sogno. Atterrammo a San Francisco e il giorno dopo vidi, in un negozio di dischi, un poster che annunciava il concerto dei miei idoli di quel tempo, Crosby Stills & Nash, quelli che consideravo “i nuovi Beatles”. Convinsi allora i miei amici (a dire il vero non molto interessati alla musica) a venire con me al Frost Amphitheater dell’università di Stanford dove si teneva il concerto. Arrivammo sei ore prima, cancelli ancora chiusi. Ma ricordo che stetti almeno un’ora a bocca aperta di fronte al palco ad ammirare le chitarre dei miei eroi in attesa che loro facessero il loro ingresso sul palco». Dei vari itinerari proposti, quale quello fondamentale? «Dipende dai gusti: ma se seguiamo le rockstar, non sbagliamo mai. Dove le rockstar sono andate a vivere, a suonare, a registrare le loro canzoni, a fare l’amore, a litigare o, purtroppo, anche a morire sono tutti luoghi bellissimi. Al di là del fascino che possono suscitare su noi appassionati». Un esempio? «Andate a Woodstock. È un nome che a tutti i “rockettari” fa venire i brividi, la prima “tre giorni di pace amore e musica” della storia. Il più leggendario rock festival mai avvenuto. La cittadina di Woodstock e le zone limitrofe, le Catskill Mountain, sono un’area meravigliosa a meno di due ore da New York City, piena di boschi, laghi, ruscelli e colline verdissime. Da sempre è una colonia di artisti». Ci andò anche Bob Dylan... «Sì, a metà dei Sessanta Dylan e il suo manager Albert Grossman vi andarono a vivere: da quel momento diventò un nome popolare tra gli appassionati. Ancor oggi, Woodstock è luogo di villeggiatura ma anche residenza di musicisti famosi. David Bowie trascorse gli ultimi giorni nella sua villa lì vicino, c’è chi dice che le sue ceneri siano state sparse proprio nel giardino di quella casa». Dei sei capitoli, cinque sono dedicati agli States e uno alla Gran Bretagna. Il rock è soprattutto America? «Premesso che, per motivi editoriali, sono stato costretto a ridurre a venticinque gli itinerari consigliati, suddivisi in sei capitoli, il rock è effettivamente nato negli Stati Uniti, il 5 luglio 1954 quando un ventenne Elvis Presley registrava il suo primo 45 giri negli studi della Sun Records, al 706 di Union Avenue, a Memphis, Tennessee. Oggi quegli studi sono ancora funzionanti ma sono anche “visitabili”: tutti, per qualche minuto, possiamo sognare di essere Elvis, Johnny Cash, Carl Perkins o uno qualsiasi dei gradi rocker degli anni Cinquanta». Nei suoi mille viaggi lei ha cercato la musica anche in luoghi esotici. «La musica è stata e continua a essere il “fil rouge” della mia vita, che ha condizionato anche la mia passione per il viaggio. Ho scoperto luoghi magnifici grazie a un interesse per le loro musiche. Come quelle ipnotiche degli aborigeni australiani, quelle seducenti delle isole Hawaii, quelle ritmate e trascinanti del continente africano, quelle spirituali dell’India o quelle sorprendenti di posti remoti come l’isola di Pasqua». Dunque anche tanta natura. «Proprio grazie al mio amore per la natura, ho scoperto i suoni che provengono dal mondo animale e vegetale come le melodie affascinanti delle balene, il rombo degli iceberg della Patagonia, il rumore della giungla amazzonica, i versi di animali in via di estinzione come il gorilla di montagna in Uganda, gli orsi grizzly in Alaska, gli oranghi del Borneo. Un mondo di suoni e ritmi che affascina tanto quello delle canzoni poetiche di Bob Dylan, dei riff lancinanti dei Led Zeppelin, del rock blues degli Stones o della chitarra cosmica di Jimi Hendrix». Se dovesse proseguire questo atlante in Europa? «Aggiungerei piuttosto alcuni luoghi d’America e di Gran Bretagna che, per motivi di spazio, non ho potuto inserire. Da Manchester a Bristol, dalla Route 66 al deserto del sud California e all’Arizona. Per non parlare di Miami, della Florida e di una scena musicale che aveva stregato il mondo. L’Europa, fuori dai confini anglofoni, non è terra rock. Ma un viaggetto nella Parigi di Jim Morrison, con tappa finale alla sua tomba al Père Lachaise lo inserirei volentieri...». E in Italia? «Per i motivi detti, non sarebbe un vero “Atlante rock”, ma potrebbe essere un buon “Atlante musicale”...».

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