lunedì 25 agosto 2008

MAX PEZZALI


Restare sempre legati alle proprie origini, raccontare i luoghi e le persone che si conoscono meglio, non rinnegare mai le proprie radici. È questa la ricetta di Max Pezzali - che giovedì alle 21.30 canta all’Arena Alpe Adria di Lignano Sabbiadoro - per sopravvivere alla globalizzazione e all’omologazione imperanti. Capaci di trasformarci prima o poi in tanti automi senz’anima.

Prima come 883 (all’inizio sigla del duo con Mauro Repetto, mantenuta per un periodo anche dopo l’uscita dalla ditta del socio) e poi da solista, Pezzali racconta sin dall’album di debutto («Hanno ucciso l’uomo ragno», ’92) la vita dei ragazzi di provincia. I sogni, le inquietudini, le aspettative, i miti, le delusioni adolescenziali.

«Sì, mi hanno un po’ dipinto come il cantore della provincia, e devo dire che la cosa non mi ha mai dato fastidio. Neanche ora che vivo a Roma. Penso che ognuno sia espressione della sua terra, delle sue origini. Che vanno salvaguardate e valorizzate per sopravvivere all’omologazione imperante».

E la provincia italiana si somiglia un po’ tutta...

«È vero. Eccetto Roma e Milano, uniche vere realtà metropolitane, l’Italia è tutta provincia. A Nord come a Sud. L’errore che si fa spesso, soprattutto da parte dei media, è raccontare il Paese partendo dall’osservatorio di quelle che sono di fatto le sue due capitali».

Dai bar della sua Pavia cosa vedeva?

«Ragazze e ragazzi un po’ tutti uguali, malati di un certo senso di perenne inadeguatezza davanti ai modelli televisivi. Sempre in attesa di un qualcosa che non arriva mai, in una sorta di eterna Fortezza Bastiani...».

È il Nord dove è nata la Lega...

«La Lega ha saputo intercettare e interpretare le paure e le istanze della gente del Nord. È forse l’unico partito che oggi ha un radicamento sul territorio, e le sue parole d’ordine contro lo Stato centralista evidentemente continuano a funzionare».

La soluzione è chiudersi?

«Non direi. In questi anni sono arrivati l’Europa, l’euro, una forte immigrazione. Ma la risposta non può stare nel chiudersi, nell’alzare muri e barricate. Anche se è vero che il problema della sicurezza è reale. E andrebbe risolto. Anche se...».

Prosegua.

«Gli anni Settanta che ricordo a Pavia, come in tante altre città, erano quelli del terrorismo e dei tossici. Questo per dire che l’età dell’oro non è mai esistita. Certo, c’è la criminalità dell’Est, ma non può essere solo quello il problema».

Parliamo di musica. Un «live» le mancava...

«Sì, in sedici anni di carriera non l’avevo mai fatto. Avevo voglia di fissare su disco questa mia fase musicale. L’album racchiude anni di tournèe ed è stata anche l’occasione per reinterpretare i miei vecchi brani, da ”Hanno ucciso l’uomo ragno” a ”Come mai”...».

Perchè ha continuato a usare la sigla 883 anche quand’era rimasto solo?

«Perchè alla vecchia sigla che avevo rubato all’Harley Davidson ero rimasto legato, anche dopo la fine del duo. E anche perchè mi piaceva sempre pensare di far parte di un gruppo, con i miei nuovi musicisti. Piacere che comunque non ho abbandonato nemmeno ora, che mi presento con nome e cognome».

Il suo vecchio socio che fine ha fatto?

«Con Mauro Repetto avevamo cominciato sui banchi di scuola. Poi, dopo il successo, lui non si ritrovava in questo mestiere e ha deciso di mollare. Dopo un periodo a Los Angeles, dove ha fatto delle cose nel cinema, ora vive da diversi anni a Parigi ma non si occupa più di spettacolo».

A Lignano cosa canta?

«Tutto. Dai vecchi successi alle cose nuove. Forse anche qualcosa che metterò nel prossimo disco, che uscirà l’anno prossimo».

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