giovedì 12 gennaio 2017

IL ROCKER TRIESTINO FRANK GET AL LIGHT OF DAY, NEW JERSEY

Il rocker triestino Frank Get (all’anagrafe Franco Ghietti) riparte dagli Stati Uniti. Venerdì 13 sarà infatti ospite del “Light of day winterfest”, nel New Jersey. «È il festival creato da Bruce Springsteen - spiega il musicista - per raccogliere fondi nella campagna contro il morbo di Parkinson di cui è affetto il suo amico ed ex manager Bob Benjamin. Nelle varie edizioni passate, al festival hanno partecipato, oltre allo stesso Boss, artisti quali Willie Nile, Southside Johnny, Joe D’Urso, James Maddock, Joe Grushecky... Si svolge a Asbury Park, allo Stone Pony, lo storico locale dove Bruce oltre quarant’anni fa, agli inizi della sua carriera».
«L’occasione per partecipare al festival - prosegue - è arrivata tramite l’amicizia e la collaborazione con Joe D’Urso, cantautore del New Jersey e vicepresidente della Light of Day Foundation. L’estate scorsa abbiamo fatto alcune date assieme e in quell’occasione mi è stata proposta la possibilità di ritornare a suonare per la seconda volta allo Stone Pony».
Ma la trasferta statunitense non sarà di quelle “una botta e via”. Frank Get terrà anche alcune date americane per presentare oltreoceano “Rough man”, il suo tredicesimo album pubblicato in Italia esattamente un anno fa.
«Con Anthony Basso, ex chitarrista degli Wind, abbiamo infatti in programma - prosegue l’artista - alcuni concerti fra il New Jersey e New York. In particolare, il 21 gennaio saremo al Bowery Electric, locale dell’East Village di Manhattan».
Dopo la trasferta a stelle e strisce, il tour prevede qualche data fra Trieste, Verona, Villaco e Lubiana. Poi il rocker triestino tirerà le fila che porteranno alla realizzazione del suo nuovo lavoro discografico. «Se tutto andrà secondo i piani - dice -, saremo pronti all’inizio dell’estate. Questa volta non farò tutto da solo, come nell’esperienza precedente, ma sarò accompagnato dalla band che suona con me dallo scorso anno, con Tea Tidic, bassista e cantante di Pola, Giulio Roselli alla batteria e Andrea Reganzin alle tastiere e ai cori. Sarà un disco molto scarno, direi quasi essenziale, che riprenderà i temi che riguardano la nostra terra e le origini della mia famiglia, che ho in parte già trattato sia in “Rough man” che nel precedente “To milk a duck”, realizzato con i Ressel Brothers».
«Dopo più di trent'anni spesi a suonare in giro per il mondo - racconta Ghietti/Get -, sento più che mai vivo il bisogno di fermarmi e rivolgere lo sguardo alle mie radici, alle storie dei luoghi e delle persone che mi hanno reso quello che sono e che vivono tuttora dentro di me».
Nell’ultimo album, che ora affronta il pubblico americano, molti brani profumano di Trieste, di Istria: «Provenire da una terra in cui i popoli e le culture si sono storicamente mescolati mi ha sempre fatto sentire cittadino del mondo e non appartenente a una nazione specifica dal momento che le mie radici sono istriane, slave, ungheresi e piemontesi. Ho cercato di raccontare alcune storie di cui la mia famiglia è stata testimone e protagonista diretta».
Per esempio in “Barbed wire”, dove l’artista ripercorre la tragedia legata al dover abbandonare la propria casa, la propria terra d'origine. In “Mine disaster” ricorda la tragica esplosione nella miniera di Arsia, in Istria, nella quale morirono 185 lavoratori. “In a heartbeat” è dedicata alle alterne vicende di Trieste, fra occupazioni militari e cambi di situazioni politiche. “Destination nowhere” racconta la storia del nonno di Ghietti, maresciallo “alla sussistenza” che dopo la disfatta di Caporetto riuscì ad assicurare il cibo ai commilitoni nonostante la disfatta.

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