giovedì 5 gennaio 2017

PAOLO CONTE, QUEL DANDY DI 80 ANNI

Paolo Conte domani ne fa ottanta. Recentemente, parlando del suo ultimo album “Amazing game”, disco solo strumentale, ha detto così: «Ci sono tre categorie di persone che un pochino si somigliano: l’intellettuale, lo snob e il dandy, a cui mi illudo di appartenere. Il dandy è uno che cerca la bellezza in profondità senza assolutamente tirarsela, come si dice oggi: cosa che fa piuttosto lo snob, che è un parvenu, mentre il dandy è proprio sostanza, è vero...».
E vero Conte lo è sempre stato. L’avvocato-chansonnier astigiano, cantore di quella provincia che si somiglia un po’ ovunque, malato di jazz, autore di capolavori intrisi di esotismo, interprete con quella sua voce rauca, quasi sporca, che è un suo tratto distintivo. Negli anni Sessanta le sue canzoni le affidava a Celentano ("Azzurro"), Caterina Caselli, Patty Pravo... Poi, in età adulta, ha cominciato a cantarsele da solo. E ha costruito una carriera coi fiocchi. Non solo in Italia.
Sì, perchè all’Olympia di Parigi o al Barbican Theatre di Londra, ma anche a New York e Berlino, a Montreal e Amsterdam, a Madrid e Atene, da tempo il nostro miete consensi unanimi. Presentato come un mix fra Tom Waits e George Brassens, come “maestro di un’eleganza perduta”.
Lui ripaga tutti con show in bilico fra Cotton Club e vecchia Europa, New Orleans e Langhe, Duke Ellington e Guido Gozzano, afrori esotici e lampi di passione. E capolavori intitolati “Sotto le stelle del jazz”, “Come dì”, “Lo zio”, “Dancing”, “Impermeabili”, “Bartali”, “Via con me”, “Un gelato al limon”... Potremmo continuare a lungo. Speriamo che continui lui. Buon compleanno, maestro.

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