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martedì 29 luglio 2014
RAPHAEL GUALAZZI ven a tarvisio , no Borders Music festival
Quando nell’autunno scorso è venuto a suonare al Rossetti, a Trieste, Raphael Gualazzi ci aveva detto: «È successo tutto così in fretta che a volte non me ne rendo ancora conto. A febbraio saranno tre anni dalla mia vittoria a Sanremo Giovani, poi l'Eurofestival, i dischi, i tour, di nuovo Sanremo...».
Poi al festivalone Gualazzi - che venerdì alle 21 apre a Tarvisio, in piazza Unità, ingresso libero, l’edizione 2014 del No Borders Music Festival 2014 - ci è tornato un’altra volta quest’anno, e ha festeggiato i tre anni da quel fulminante esordio sul palco del Teatro Ariston con “Follia d’amore” sfiorando la vittoria con “Liberi o no”, duettando con Bloody Beetrots, alias “L’uomo mascherato”...
Dice il cantante pianista: «Simone Cogo (questo il vero nome del dj e polistrumentista veneto che si cela dietro lo pseudonimo e la mascherina - ndr) è un grande professionista, per me una grande esperienza professionale e artistica, la fusione del mio linguaggio acustico con il suo “concept” elettronico».
Suo padre suonava con Ivan Graziani, è vero che fu lui a incoraggiarla ancora bambino?
«Purtroppo mio padre aveva già smesso di suonare da alcuni anni prima che io nascessi ma devo dire di avere sempre avuto grande sostegno morale da parte do tutta la mia famiglia. I vinili che si ascoltavano a casa hanno fatto il resto»
Come ha scoperto il blues, il jazz?
«Grazie all'ascolto e ad alcuni incontri fondamentali, incontri con musicisti, maestri, e artisti del settore. Ma l'ascolto e l'interesse sulle biografie di grandi del passato sono stati credo la parte più importante».
L'incontro con Caterina Caselli?
«Settembre 2009, uffici Sugar, quarto piano. Un'audizione piano e voce, bellissima atmosfera di curiosità, interesse e positività verso la musica. Qualche settimana dopo firmai il contratto discografico con Sugar».
Lei nasce come jazzista e ha fatto studi classici.
«È vero, può sembrare strano. Ho studiato pianoforte al Conservatorio di Pesaro, il jazz e il blues sono sempre stati la mia grande passione. Ho fatto tanta gavetta, ma quando si è presentata l'occasione del Festival non ci ho pensato due volte: Sanremo è una grande vetrina, un'occasione unica per entrare nelle case della gente, soprattutto per un musicista agli inizi»
Una vetrina che tre anni fa le ha cambiato la vita: come è arrivato su quel palco?
«Contento, emozionato e cosciente che era una opportunità per dare luce non solo alle mie musiche, ma anche indirettamente alla grandissima tradizione jazzistica e, quella grande cultura che è l'origine della società moderna, così volubile e multiforme».
La scelta “popolare” le è costata compromessi?
«Direi di no. Sanremo mi ha portato visibilità, opportunità di lavoro, l'attenzione del pubblico. Del resto io, pur partendo da basi classiche e dalla passione per il jazz, non ho mai posto barriere, non ho mai rifiutato la musica popolare. E poi non dimentichiamolo: lo stesso jazz nasce come musica popolare».
E lei ama le contaminazioni.
«Per me sono fondamentali. Fra i vari generi musicali non devono esistere barriere, tutti devono parlare, interagire con tutti. E poi, parlo per il mio caso ma sono convinto che il discorso non vale solo per me, "mischiarsi" ha un effetto benefico per tutti gli stili e anche per i vari tipi di pubblico».
Che musica ascolta?
«Tantissima di vari generi. Da Curtis Mayfield a Verdi passando per Led Zeppelin e Queen, Art Tatum, Jimmy Witherspoon e Scriabin e tantissimi altri»
In questo tour cosa propone?
«Un nuovo arrangiamento dei miei tre lavori discografici (2005, 2011, 2013) e omaggi e reinterpretazioni sia di grandissimi temi di musica italiana che di tradizione afroamericana dal soul al reggae al blues/jazz».
Prossimo progetto?
«Bisogna aspettare il 2015, è prematuro parlarne...».
Ha un sogno?
«Continuare giorno per giorno - conclude Raphael Gualazzi, nato a Urbino, classe 1981 - a vivere per la mia più grande passione, la musica».
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