martedì 3 febbraio 2009

LIBRO SOFRI


C’è una ragazza di vent’anni, «di quelle che fanno le domande», che non sa nulla di stragi e anni di piombo e Pinelli e Calabresi. C’è un uomo - Adriano Sofri, nato a Trieste nel 1942 - che fra la fine degli anni Sessanta e la metà dei Settanta è stato il leader di Lotta Continua (gruppo extraparlamentare di sinistra dell’epoca, scioltosi nel ’76, anche se l’omonimo quotidiano uscì fino all’82), prima di diventare apprezzata voce critica della sinistra, sia come giornalista che come scrittore.

Sofri è stato condannato con sentenza definitiva, dopo un lungo processo, conclusosi nel ’97, come mandante dell’omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi. Dopo nove anni di carcere, attualmente è ai domiciliari per motivi di salute. Si è sempre dichiarato innocente, e per questo si è sempre rifiutato di chiedere la grazia.

Oggi la novità è che, pur nel ribadirsi innocente, Sofri si è assunto la corresponsabilità morale dell'omicidio Calabresi. Lo ha fatto in un’intervista al ”Corriere della Sera”. Lo fa in questo libro «La notte che Pinelli» (Sellerio Editore Palermo, pagg. 284, euro 12), nel quale alla ragazza di vent’anni ignara dei tragici fatti che si susseguirono da Piazza Fontana in poi non racconta del caso Calabresi ma del caso Pinelli, come si evince già dal titolo. Ma il lungo monologo contiene frasi inequivocabili, come: «...quando dico che la campagna condotta da Lotta Continua contro Calabresi tra il 1970 e il 1972 (non mi importa dei molti altri concorrenti) fu un linciaggio moralmente responsabile, benchè nient’affatto penalmente, della morte di Calabresi».

E ancora: «E che a questo niente toglie la ricostruzione di ciò che l’aveva preceduta, in quel tragico gioco delle parti che inchiodò tanti a un ruolo solo in parte scelto e in parte subìto e sofferto, e per tanti altri significò solo dolore e perdita».

E soprattutto: «Di nessun atto terroristico degli anni Settanta mi sento corresponsabile. Dell’omicidio Calabresi sì, per aver detto o scritto, o per aver lasciato che si dicesse e si scrivesse, ”Calabresi sarai suicidato”».

Ma il libro, come si diceva, parla innanzitutto di quella notte del 15 dicembre 1969 quando il ferroviere anarchico Pino Pinelli volò giù da una finestra del quarto piano della Questura di Milano. Era stato fermato nelle drammatiche ore immediatamente successive alla strage di Piazza Fontana, 12 dicembre del ’69, atto di nascita della strategia della tensione. Parlarono di suicidio, un suicidio a cui non credeva nessuno. Seguì quella campagna con i toni del linciaggio - cui fa riferimento Sofri - contro il commissario di polizia Luigi Calabresi, che venne assassinato sotto casa la mattina del 17 maggio 1972. E a dolore e ingiustizia si sommarono altro dolore e altra ingiustizia.

L’autore ricostruisce tutta la storia, facendola precedere - alla maniera quasi di una rappresentazione teatrale - da un elenco delle persone coinvolte con i rispettivi ruoli. E seguire da trentasei pagine di minuziose e dettagliatissime note.

Ne viene fuori la prima ricostruzione storico-documentale, pur in forma narrativa, di quei drammatici giorni del dicembre 1969, uno dei grandi buchi neri della storia della Repubblica italiana. Sofri la traccia attingendo alle migliaia di carte dei tanti procedimenti giudiziari e ai propri ricordi personali.

Dalla lettura di questo libro - e magari anche di quello scritto da Mario Calabresi, figlio del commissario ucciso e oggi giornalista di ”Repubblica”, intitolato ”Spingendo la notte più in là”, uscito due anni fa - tutte le ragazze e i ragazzi di vent’anni che hanno la voglia di sapere e di capire, potranno imparare qualcosa di più della storia recente, e a tratti terribile, del nostro Paese.

Nessun commento:

Posta un commento