SANREMO finale
Primo Marco Carta (direttamente da ”Amici”), secondo Povia, terzo Sal Da Vinci. Si è conclusa a notte fonda, con un risultato abbastanza a sorpresa, la 59.a edizione del Festival di Sanremo. Quella della rinascita, del successo di Bonolis, degli ascolti record, della ritrovata centralità nel palinsesto televisivo di Raiuno. Ma anche di Roberto Benigni e di Mina.
La vita reale ha sempre il vizio di ficcare il naso al Festival, un tempo specchio del Paese, da anni regno dell’irrealtà, che della società italiana regala - giusto per citare il Vaticano - «la sua immagine più stereotipata e banale, quella falsa, confezionata ogni giorno dalla televisione».
Ieri pomeriggio dunque manifestazione dei gay fuori dall’Ariston (vedi articolo qui sotto) contro la canzone di Povia, che in serata - prima di salire sul podio - ha proseguito la sterile polemica chiudendo la sua esibizione con un cartello sul quale era scritto prima «Ognuno difende la sua verità» e poi «Ci prendiamo troppo sul serio».
Ma a Sanremo è arrivata anche una delegazione degli operai Fiat di Pomigliano d’Arco, da mesi in cassa integrazione. E Bonolis li ha incoraggiati dal palco («Coraggio ragazzi, grazie...»), spiegando i motivi della protesta e parlando dei riflessi della crisi economica mondiale.
Serata dedicata alla riproposizione delle canzoni rimaste in gara. E agli ospiti: Vincent Cassel, il francese noto da noi soprattutto per essere marito di Monica Bellucci; la strepitosa Annie Lennox, con ”Why” solo pianoforte e voce; l’irrestibile talento comico di Checco Zalone; l’arte di Piera Degli Esposti, impegnata in una lettura di Dacia Maraini.
E poi riflettori puntati sulla prima volta di Maria De Filippi in Rai (oltre che al Festival). La signora Mediaset è stata trattata con tutti gli onori, e ha affiancato Bonolis per un lungo tratto nella presentazione. Fino al trionfo del suo protetto Marco Carta, vincitore di ”Amici”. «È la prima volta che metto piede in Rai - ha detto con la sua caratteristica voce rauca, quasi maschile - e sono un po’ preoccupata. Sono venuta perchè conosco e stimo molto Paolo...».
Paolo che - va detto - ha vinto il suo secondo Sanremo. Record di ascolti nel 2005, al suo debutto, quando tutto sommato un’affermazione poteva anche essere messa in preventivo. Ma trionfo di audience pure quest’anno, «al di là delle più rosee previsioni», come hanno cinguettato quasi all’unisono il direttore di Raiuno Del Noce e il direttore generale Cappon.
Dopo il crollo dell’anno scorso con Baudo, per il Festival sembrava suonasse la campana dell’ultima chiamata. Alla vigilia qualcuno si era addirittura spinto a pronosticarne la messa in archivio di qui a un paio d’anni, magari dopo la sessantesima edizione. Che a questo punto si farà, l’anno prossimo, con tutt’altro stato d’animo e una ritrovata centralità nel palinsesto Rai. E con l’ironico conduttore che trasforma in oro tutto quel che tocca - statene certi - ancora sulla tolda di comando.
Ma se Bonolis è oggi il miglior uomo televisivo che passa il convento dello spettacolo italiano, e se la coppia comica con Luca Laurenti (scoperto anche come cantante...) non si discute, reclamizzino il caffè o presentino Sanremo, altra cosa è la scelta delle canzoni in gara.
Qui Baudo, ormai impresentabile in video, era più abile. Nelle ultime due edizioni da lui dirette e condotte, erano numerosi i brani di qualità. Quest’anno nisba. O quasi. Fra i big buona la canzone di Patty Pravo, difficile da cantare e penalizzata dalle stonature nella prima serata. Passabili quelle degli Afterhours e di Tricarico, non a caso subito eliminati e ovviamente non ripescati.
Meglio i giovani, anzi, le cosiddette Nuove proposte. La splendida Malika Ayane e l’intrigante Karima, entrambe figlie di madre italiana e padre straniero. Figlie dunque dell’Italia multietnica che è già qui, ha potenzialità anche artistiche, e che troppi tentano di ridurre a questione di criminalità e ordine pubblico.
Bravissima anche la vincitrice Arisa, ragazza fumetto dai grandi occhialoni e timida da far tenerezza. La sua «Sincerità», riproposta ieri sera e impreziosita nella serata di giovedì dal pianoforte del nostro grande Lelio Luttazzi, è una gemma swing senza tempo, delicata e orecchiabile. E brava anche Iskra, la corista di Dalla con tante primavere sulle spalle ma non nella gran voce.
Ma il successo dell’edizione di quest’anno ha saputo prescindere dalle canzoni in gara. Bonolis ha impresso una bella svecchiata al Festival. Nell’approccio, nel tono, nella scenografia, nell’atmosfera generale di uno show televisivo condotto con ironia e seguendo una rotta diametralmente opposta alle stantie e autoreferenziali messe cantate di Baudo, dal quale ha ereditato solo l’estenuante lunghezza delle cinque-serate-cinque.
L’attesa e la curiosità sono state costruite già alla vigilia. Reintroducendo l’eliminazione fra i big, ingaggiando grandi nomi della canzone come padrini dei giovani (e quella dei duetti è stata una serata di grandissima musica), inventando la ridicola polemica costruita a tavolino sulla canzone di Povia (anche se poi ”Luca era gay”, pur premiato dalle giurie e dal televoto, è di una pochezza impressionante...).
Ma i due colpi sono stati soprattutto riportare a Sanremo la voce di Mina (con un video, vabbè, ma quell’interpretazione di ”Nessun dorma” valeva da sola tutto il girone dei cosiddetti big...) e ancor più l’ospitata di Benigni. Che anche al netto nelle polemiche per i 350 mila euro in diritti tv versati da mamma Rai al comico e alla sua società di produzione, è stata come al solito travolgente.
Vien da pensare a Del Noce, che prima dello show aveva raccomandato al toscanaccio di non badare alle polemiche: «Vola alto e pensa al tuo amato Dante», sperando magari nell’ennesima lettura della Divina Commedia. Dopo le irresistibili bordate a Berlusconi, oltre che a Veltroni e alla stessa Mina, l’inquadratura del direttore (ancora per poco...?) di Raiuno corrucciato in platea, in mezzo alla folla ridente e plaudente, è già stata consegnata alla storia del Festival.
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