SANREMO 1
La classe inarrivabile di Mina, la verve inarrestabile di Roberto Benigni. La prima serata del 59.o Festival di Sanremo ha emesso a tardissima ora il primo verdetto: eliminati (giustamente) Iva Zanicchi, (ingiustamente) Tricarico e Afterhours. Ma è brillata soprattutto della luce abbagliante di due giganti dello spettacolo italiano, così diversi ma così uguali nell’eccellenza della loro arte. Tale da oscurare tutto il resto, cantanti e canzoni e ospiti e contorni vari.
Va ammesso che, magari non basterà a risollevarne le sorti, ma Bonolis ha dato una bella svecchiata al Festival. Nell’approccio, nel tono, nella scenografia, nell’atmosfera generale di una prima serata andata in porto seguendo una rotta sufficientemente diversa dalle stantie e autoreferenziali messe cantate di Baudo. Sempre con un pizzico di autoironia, dote sconosciuta al siculo, grazie anche alla presenza della spalla Laurenti.
Apertura minimal, con il conduttore seduto sul palco accanto a una bimbetta (Beatrice Bonetti, sette anni, allieva di pianoforte all’Accademia musicale di Savona), cui spiega la grandezza della musica italiana, le sue origini, la sua storia. Il testimone passa al tanto atteso video di Mina, che canta da par suo ”Nessun dorma” in uno studio affollato di musicisti, con l’orchestra diretta da Gianni Ferrio.
Lei è come l’abbiamo intravista in qualche foto rubata o nell’ultimo video di qualche anno fa, sempre in uno studio di registrazione: vestita di nero, capelli raccolti, occhialoni, cuffie in testa, e quella voce inarrivabile che addomestica l’aria più celebre della Turandot di Puccini e ce la restituisce alla stregua di una grande canzone melodica.
Intanto, le immagini ripercorrono per titoli la storia della musica italiana, quella classica e quella popolare, da Caruso a Pavarotti, da Modugno a Vasco Rossi, da Battisti a Ramazzotti, e si incrocia con la storia del Festival. Pochi minuti ma di grande classe, di alto livello, chiusi dall’immagine di Mina seduta che saluta con la mano in direzione della camera. Quasi un arrivederci. Magari a sabato, quando è prevista la sua seconda ”comparsata virtuale”. Pare con ”Mi chiamano Mimì”, dalla Boheme.
I primi cantanti in gara: l’incompiuta Dolcenera, il vecchio leone Fausto Leali, lo stralunato Tricarico (punito dalle giurie), l’inutile Marco Carta. E ancora la sofisticata Patty Pravo (la sua ”E io verrò un giorno là” sembra una delle migliori canzoni di quest’anno), l’incazzato Marco Masini, il tenorile Francesco Renga.
Due parole con Alessia Piovan, attrice e modella di belle speranze. Poi è il momento dell’altro picco della serata. Benigni entra e fa il vuoto attorno. Comincia col chiarire che non vuole parlare di Berlusconi, e poi lo massacra a botte di sarcasmo: «Silvio, ti propongo di diventare unico come Mina. Per farlo devi sparire. Mina non si è fatta più vedere ed è diventata un mito, manda solo filmati, come Bin Laden».
Di più: «Silvio, non ti devi far più vedere. Più lontano vai, più mito sei. Ogni tanto ci mandi una canzone con Apicella. Magari la canto io. Silvio, ti prego di diventare un mito, come Dio, che non si vede mai».
Del Noce in prima fila non ride. Ma ce n’è anche per Veltroni («Non faccio battute su di lui, perchè più battuto di così non si può. Gli regalo solo uno slogan: rialzati Walter. Che poi la Sardegna non è niente, tanto avremo la maggioranza alle Eolie...»), per la Zanicchi («Iva, non me l’aspettavo questa canzone, è come dire: trombami e non finire presto...»), per gli italiani che «vogliono la certezza della pena, mi sa invece che di questi tempi di crisi nera vogliono la certezza della... cena».
Conclusione con parole alte e nobili in difesa degli omosessuali: «È una storia incredibile che va avanti da millenni. Gli omosessuali non sono fuori dal piano di Dio. Di peccati c'è solo la stupidità», per poi ricordare Oscar Wilde, «messo ai lavori forzati per la sua omosessualità. In prigione ha scritto una lettera alla persona per la quale era stato condannato». E, prima di lasciare il teatro tra gli applausi scroscianti, legge quella accorata lettera.
Difficile riprendere la gara, a quel punto. Ci pensano Pupo, Paolo Belli e Youssou N'Dour, uniti in uno strano trio per un messaggio di tolleranza e solidarietà. E poi il rap dei Gemelli Diversi, il solito Al Bano, gli Afterhours (”Il paese è reale”, gran pezzo rock massacrato dalle giurie), la citata Iva Zanicchi, i talentuosi Nicky Nicolai e Stefano Di Battista. È il turno anche di Povia: che piccola cosa è la sua ”Luca era gay”, soprattutto dinanzi alla grandezza delle parole di Benigni. E di Oscar Wilde. Nemmeno il microfono in platea a Grillini, leader dell’Arcigay, può aggiungere granchè.
Chiusura dimessa con Sal Da Vinci e Alexia con Mario Lavezzi. Tocca all’ospite californiana Katy Perry ma soprattutto ai primi quattro giovani: Malika Ayane, Irene, Simona Molinari e Filippo Perbellini. È quasi l’una. C’è solo spazio per i nomi dei primi eliminati.
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