sabato 9 febbraio 2013

CRISTICCHI, magazzino 18

«Siamo partiti in un giorno di pioggia, cacciati via dalla nostra terra che un tempo si chiamava Italia, e uscì sconfitta dalla guerra. Hanno scambiato le nostre radici con un futuro di scarpe strette, e mi ricordo, faceva freddo nel’inverno del ’47...». Sono i primi versi di “Magazzino 18”, una delle canzoni del nuovo album di Simone Cristicchi “Album di famiglia”, che esce in concomitanza con la partecipazione del trentaseienne cantautore romano al Festival di Sanremo. Il brano darà anche il titolo a uno spettacolo teatrale, che aprirà la prossima stagione dello Stabile del Friuli Venezia Giulia. «Il Magazzino 18 - spiega Cristicchi, che a Sanremo proporrà “La prima volta (che sono morto)” e “Mi manchi” - è quel luogo della memoria che c’è nel porto vecchio di Trieste, dove gli italiani che scappavano dalla Jugoslavia lasciarono le loro povere cose pensando di tornare a riprenderle». Com’è nata la canzone? «Nell’ottobre 2011 sono stato una settimana a Trieste, per il mio spettacolo alla Sala Bartoli “Li romani in Russia”. Stavo raccogliendo storie per il mio libro “Mio nonno è morto in guerra”, nel quale poi inserii quattro storie triestine, fra cui una proprio sull’esodo». Cosa la colpì del Magazzino 18? «Avevo visto un documentario sull’esodo. Quando entrai mi colpì la massa informe di oggetti, sembravano i resti di un terremoto, le grandi cataste che ci sono nei manicomi, nei campi di concentramento. E quasi ogni oggetto aveva attaccato il nome della persona che l’aveva lasciato lì». Lo spettacolo? «Dopo quella visita promisi a me stesso, e alle persone che mi accompagnarono quel giorno, che avrei fatto qualcosa per far conoscere questa storia. La storia di chi è partito e di chi ha scelto di rimanere. Ho letto le testimonianze nel libro di Jan Bernas “Ci chiamavano fascisti. Eravamo italiani”. Avevo pensato a un monologo di teatro civile, dopo è arrivata l’idea anche delle canzoni». Il debutto? «Apriamo la stagione del Rossetti, il 22 ottobre. Sono molto orgoglioso del fatto che lo spettacolo sia stato scelto per il debutto. Lo spettacolo l’ho scritto con Jan Bernas, la regia è di Antonio Calenda». Laura Antonelli? «Nel disco c’è anche un omaggio a lei, grande attrice degli anni Settanta, nata a Pola. Una volta ero andato a visitare delle tombe etrusche nel giardino di una villa a Cerveteri. Il custode mi disse che era la villa dove l’attrice aveva vissuto ed era stata arrestata. Quasi miracolosamente le pareti e gli oggetti mi raccontavano sua storia». Poi l’ha conosciuta? «Lei ora vive molto isolata. Tramite un comune amico le ho fatto sapere della canzone che ho scritto su di lei, mi è sembrato fosse contenta del fatto che qualcuno ancora la ricordi. Lei per me è il simbolo di quegli artisti maltrattati dalla vita e anche dai media, la sua è stata una vita da incubo, dalle stelle a stalle». Sergio Endrigo? «A volte sembra che canzoni, fatti e personaggi siamo come concatenati fra loro... Amo molto Endrigo, anche lui esule nato a Pola. Nella serata “Sanremo Story”, venerdì, canterò la sua “Canzone per te”, con cui vinse il Festival nel ’68, in coppia con Roberto Carlos. E a luglio farò un concerto a Spilimbergo, con l’Orchestra Sinfonica Fvg, nel quale riproporremo tutto il suo repertorio». A Sanremo cosa canta? «”Mi manchi” è proprio una canzone “alla Endrigo”, giocata sui tasti della semplicità e della dolcezza, che mostra un lato inedito, quasi fanciullesco, di me. Potrebbe essere una canzone per bambini, non a caso i miei figli, che sono piccoli, già la cantano». L’altra? «Più “cristicchiana”, se posso osare il termine. “La prima volta (che sono morto)” nasce dalla riflessione su un uomo che muore all’improvviso e si ritrova in un paradiso che somiglia a una scuola serale, dove si studia, si fa un bilancio della propria vita, si riflette su cosa si è fatto di buono e di meno buono». Lei è credente? «Non in senso cattolico. Anche se ho Cristo nel cognome e i miei antenati erano guardie papali. Forse da ciò nascono alcuni miei spunti anticlericali...».

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