lunedì 18 febbraio 2013

SANREMO bilancio

È stato il miglior Sanremo da tanti anni a questa parte. Un festival senza troppi fronzoli, svestito da quella sacralità baudiana (ma anche gli altri conduttori e direttori artistici delle ultime edizioni si erano mossi sullo stesso solco...) ormai insostenibile. Un festival che ha smesso di essere “un mondo a parte” rispetto alla scena musicale di casa nostra, ma anche agli stessi show televisivi imperanti. Un festival all’insegna di normalità, leggerezza, contemporaneità. La vittoria ha diversi genitori. In primis Fabio Fazio, tornato in sella dopo le edizioni del ’99 e del 2000, bissandone i successi in termini di ascolti e di gradimento. Con quell’aria da pretino di campagna, con quel tono ecumenico e curiale, il savonese è uno che la sa lunga. Quando Crozza è andato nel panico per le contestazioni, è lui che ha salvato la situazione. E il comico genovese lì ha dimostrato i suoi limiti: esilarante fino all’incidente, timido e insicuro dopo i “buuh”. Ha ragione chi dice che ha sbagliato la scaletta: l’imitazione del Berlusca (sublime) andava fatta alla fine. Luciana Littizzetto è stata perfetta nel ruolo di brutto anatroccolo che diventa principessa. Ha mandato in soffitta le bellone senza cervello, le vallette “una-bionda-una-bruna” vestite come lampadari, di cui avevamo le tasche piene. Il suo credo: non prendere nessuno sul serio, a cominciare da se stessa. Bene anche gli autori, fra i quali spiccava il nome di Michele Serra. Almeno per un anno ci hanno risparmiato quella caterva di sciocchezze di cui la settimana sanremese è stata sempre piena. Testi normali come le canzoni, scritti da gente che vive in questa Italia per spettatori non arrivati da Marte. Ma se interpreti, autori e canzoni di questo festival sono stati dignitosi, il merito va soprattutto a Mauro Pagani, che il grande pubblico ha visto finalmente in faccia tutte le volte che ha diretto l’orchestra. Ex della Pfm, già autore e produttore con Fabrizio De Andrè (“Creuza de mä”, l’album capolavoro dell’84, lo hanno realizzato a quattro mani) e per tantissimi altri interpreti, ha il merito di aver assemblato un buon cast. Nel quale, gli “Elii” (Ollio e le storie tese, nella versione oversize dell’ultima sera...) viaggiano almeno un gradino sopra tutti gli altri. Il loro mix di genialità e follia, condite da cultura musicale assoluta, lascia piacevolmente a bocca aperta. Il secondo posto (ottenuto grazie alla giuria di qualità) e il premio della critica sono il giusto riconoscimento della loro qualità e verve. Bene anche Malika Ayane: elegante, fascinosa, insinuante, con quella voce che sa di paesaggi esotici. Belle le canzoni scritte per lei da Giuliano Sangiorgi dei Negramaro, ma il suo piccolo capolavoro è stata la rilettura per Sanremo Story di “Cos’hai messo nel caffè” (Riccardo Del Turco, Sanremo ’69). Partita fra le favorite, è stata punita dal peso del televoto. Televoto che ha premiato il vincitore, Marco Mengoni, un altro ragazzo proveniente dai “talent”. Con la parentesi Vecchioni, è la quarta volta in cinque anni che Sanremo viene vinto da chi arriva da “Amici” o “X Factor”. Mengoni è cresciuto come interprete, ha ancora qualche scatto un po’ isterico, ma ai giovanissimi piace. E va detto che la sua rilettura di “Ciao amore ciao”, di Luigi Tenco, è stata dignitosa. Il gradimento dei giovanissimi, espresso attraverso il televoto, ha portato sul podio anche i Modà. Che sembrano cantare sempre la stessa canzone e sfoggiano testi da dimenticare. Ci scusino i fan, ma ne avremmo fatto volentieri a meno. Meglio di loro altre due ragazze da “talent”: Chiara (favorita della vigilia, poi scivolata in classifica) e la stessa Annalisa, che ha ampi margini di miglioramento. E meglio anche Raphael Gualazzi, una ventata di swing che animerà la primavera radiofonica. Cosa manca? Che è stato anche il Sanremo dei diritti civili, con la coppia gay sul palco la prima sera e con la poetica canzone di Renzo Rubino fra i Giovani. Dove ha vinto Antonio Maggio, altro ragazzo che si è fatto le ossa nei “talent” (era nell’Aram Quartet vincitore del primissimo “X Factor”). Ed è stato anche il primo, vero Sanremo di Twitter: il social network delle 140 battute l’ha fatta da padrone nei commenti in tempo reale: migliaia e migliaia al minuto. Il mondo è cambiato. La cronaca e la critica anche.

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