mercoledì 5 marzo 2014

ELISA, stasera a rimini data zero tour, che parte ven da Conegliano e arriva il 29 a trieste

Il biglietto da visita? Oltre sessantamila copie vendute di “L’anima vola”, l’album uscito a ottobre. Che da diciotto settimane staziona fra i dieci dischi più venduti in Italia. Assolutamente niente male, insomma. «Sì - ammette Elisa, che stasera a Rimini è attesa dalla “data zero” del tour, che parte venerdì da Conegliano e arriva il 29 marzo a Trieste -, l’album sta funzionando molto bene. Avevo paura che il mio pubblico, davanti al primo album tutto in italiano, rimanesse disorientato. C’era anche il timore di deludere quelli che mi seguono dall’inizio. Invece...». Anni fa non l’avrebbe mai fatto. «Il momento non era maturo. Ed è arrivato dopo sedici anni dai miei inizi. E dodici dopo “Luce (Tramonti a Nordest)”. È stato tutto molto sereno, spontaneo, quasi naturale. Fra l’altro è un disco ispirato, scritto velocemente, quasi getto. E comunque ciò non vuol dire che non scriverò più in inglese». Ora la prova dal vivo. «Già. Con il nuovo gruppo abbiamo fatto diverse settimane di prove a Cervignano, seguite a un periodo di lavoro quasi casalingo, nel quale ho sistemato arrangiamenti, singole parti degli strumenti, insomma, l’abito sonoro con il quale le canzoni verranno proposte al pubblico. L’allestimento vero e proprio dello spettacolo è invece avvenuto a Rimini, prima di questa “data zero” che è una sorta di grande prova generale». Lo show? «Tre ore di musica con le canzoni del nuovo album, ma anche quella manciata di classici che il pubblico si aspetta quando viene a un mio concerto. Senza particolari riletture, però. Ogni brano, ogni disco appartiene a un determinato momento, a una fase della mia vita. Inutile e forse sbagliato azzardare rivisitazioni che poi rischiano di portare a stravolgimenti». Nessuna sorpresa, allora. «No, forse una piccola sorpresa c’è. E mi è venuta in testa proprio a Trieste, quando ho visto il concerto di Bruce Springsteen allo Stadio Rocco. Avevo molto apprezzato quella parte dello show nella quale il pubblico chiede i brani al Boss. E ho pensato di creare un momento simile». Insomma, preparate gli striscioni. «Sì, suoneremo le canzoni che il pubblico ci chiederà, o a voce o con i titoli scritti su striscioni e cartelloni. Ovviamente non mi passa nemmeno per la testa di paragonarmi al grande Bruce, ma mi sembrava una cosa carina. Fra l’altro nei suoi concerti-maratona questa parte dura quasi un’ora. Nel mio spettacolo sarà molto più breve». Emma e Sebastian saranno in tour con lei? «Ovvio, non potrei lasciare i miei figli a casa. La bambina ha quattro anni e mezzo. È già alla sua quarta tournèe, l’ho sempre portata con me. Qualche volta vede anche l’inizio del concerto. All’inizio le faceva un po’ effetto vedermi sul palco, cantare, suonare, le luci... Ora è un po’ più grande, comincia a capire, ad accettare questa cosa». Il piccolo? «Sebastian è ancora molto piccolo. Vedremo come organizzarci. La mia famiglia ha avuto un ruolo importante in questo lavoro, la maternità mi ha cambiato molto. Ogni opera è influenzata dalla propria vita personale». In questi anni ha duettato, o ha conosciuto, tanti suoi idoli di quand’era ragazza. «Sì, e certo volte non mi sembrava vero. È successo per esempio al Concerto di Natale, a Roma, con Dolores O’Riordan. Lei, da sola ma anche da solista, è stata davvero fra i miei miti. Posso dire di essermi formata musicalmente e vocalmente ascoltando i suoi dischi». Altri miti? «Beh, quando ho duettato con Tina Turner è stata un’esperienza davvero incredibile. Ma anche conoscere Alanis Morissette, Eddie Vedder... E tutto questo senza nulla togliere ai grandi artisti italiani con cui ho diviso il palco, e che ormai sono degli amici: Ligabue, Negramaro, Zucchero...». Che non si dimenticano mai di lei... «Si tratta di artisti amici, con i quali si è stabilito da tempo un feeling particolare. Penso a Luciano, che aveva da parte questa canzone scritta per sua figlia Linda, “A modo tuo”, ma non la cantava perchè voleva che a farlo fosse una donna. E madre. Il brano descrive bene il difficile ruolo del genitore che vede crescere i propri figli: vorrebbe proteggerli tutta la vita e tenerli lontani dal dolore e dai problemi, ma sa bene che un giorno dovrà lasciarli andare». Giuliano Sangiorgi dei Negramaro? «Ha scritto le parole di “Ecco che”, rileggendo il personaggio principale del film “L’ultima ruota del carro”, di Giovanni Veronesi, che con il suo camion di traslochi rappresenta la classe operaia e il sogno di diventare qualcuno. Poi scopre che la ricchezza della vita è avere qualcuno da amare, una famiglia...». Nel disco c’è anche Tiziano Ferro. «Era da tempo che volevo collaborare con lui. Aspettavo di avere la musica giusta da proporgli. “E scopro cos’è la felicità” ha una melodia calda, soul, mi sembrava giusto per lui. Che ha scritto un testo sul rapporto fra me e mia figlia, di come sia cambiata la mia vita, dopo aver visto delle immagini di noi due e Andrea (Rigonat, compagno dell’artista e suo chitarrista - ndr) assieme in tour». Il suo prossimo sogno? «Lavorare all’estero in maniera più continuativa. Ho suonato un po’ dappertutto: dagli Stati Uniti all’Inghilterra, dalla Spagna alla Norvegia, dalla Germania all’Olanda... Ma si è trattato sempre di brevi tour, presentazioni legate a un’uscita discografica, a un successo radiofonico». Invece? «Invece credo che per farsi un nome fuori dall’Italia sia necessario suonare molto dal vivo, anche in città piccole, senza seguire la logica della promozione discografica. È per questo che, finito questo tour italiano, e ricaricate le batterie, quest’estate ho intenzione di andare in giro per l’Europa, partecipare a qualche festival». Elisa, cosa pensa di questa Italia? «Da ragazza non mi sono mai interessata alla politica, ho sempre pensato alla musica. Ero un po’ naif, con un approccio bohemien alle cose della vita. Ora che ho dei figli mi informo di più. Mi rendo conto che la situazione è molto difficile, non è solo un fatto di crisi. Serve equilibrio, senso di responsabilità, non può valere la legge del più forte. Nel nostro Paese esiste un sistema di tutele, di aiuto alle fasce più deboli che non può e non deve essere smantellato».

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