giovedì 13 marzo 2014

ROY PACI sabato a Trieste

«Ricordo quando a vent’anni sono andato per la prima volta in Brasile, attirato dai grandi trombettisti sudamericani, con i loro suoni belli e potenti, con la loro tecnica. Volevo imparare, mi ero portato un sacco di carte, diplomi, presentazioni... Ma il capo di un’orchestra al quale mi ero rivolto non volle vedere nulla: mi disse soltanto di suonare. Lo feci. E cominciò la mia avventura». Roy Paci, siciliano di Augusta, classe 1969, torna sabato sera a Trieste, dove lo ricordiamo in un emozionante concerto in piazza Unità, nell’estate 2010. Quella volta suonò vicino al mare, stavolta la sua musica va in scena sull’altipiano, per l’esattezza nel teatro tenda di Borgo Grotta Gigante, nell’ambito della “Guca sul Carso 2014, Winter edition”. Il trombettista sarà ospite nel concerto della Municipale Balcanica, gruppo pugliese con cui sta registrando nei suoi studi vicino Lecce. «Ecco - prosegue Roy Paci -, guardando i ragazzi di oggi, le loro speranze, i loro entusiasmi nonostante la situazione difficilissima, mi torna in mente quel mio primo viaggio in Sudamerica di tanti anni fa. Fu un viaggio all’avventura, per uscire dall’ambiente che conoscevo e che mi stava stretto». I ragazzi di oggi? «Rispetto a qualche anno fa io vedo in giro tante piccole fiaccole di speranza. Fra i nuovi ora comincia finalmente a emergere chi vale veramente. Ci sono cose interessanti in questa generazione di nativi digitali, di ragazzi che girano l’Europa con Erasmus e con i voli low cost. Quando tornano a casa, hanno maggiore apertura mentale rispetto alle generazioni precedenti. Hanno un pensiero “glo-cal”, sono più saggi» Nella musica? «Grande movimento anche lì. Sono reduce da alcuni concerti negli Stati Uniti, a New York, a Los Angeles. Ho trovato una scena molto ricca, in perenne movimento, aperta alle contaminazioni. C’è un movimento in atto dalla East verso la West Coast. Los Angeles, ma anche città come Austin, in Texas, sono diventate vere e proprie capitali della nuova musica. Ho trovato più movimento lì, che nella nostra vecchia Europa». I suoi miti sono sempre Louis Armstrong e Roy Eldridge? «Certo, ma ora ce ne sono anche altri. Penso al sudafricano Mongezi Feza, al franco-libanese Ibrahim Maalouf, all’americano Dave Douglas... Gente che pesca dal jazz, dalla musica etnica, dalla musica popolare, da mille altri generi. Gente da cui possiamo solo imparare». Con la televisione come va? «Mi sono preso una pausa di riflessione. A “Zelig” e con Chiambretti mi ero divertito, a “Star Academy” ho rischiato di finire stritolato. Il punto è che a me la televisione piace, ma non mi interessa fare una carriera televisiva. Dunque finchè potevo portare la mia musica senza condizionamenti, okay. Quando mi sono accorto che stavo soffocando in un meccanismo, arrivederci e grazie». Cosa l’ha colpita dei Gogol Bordello, e del loro leader Eugene Hütz, con cui ha collaborato? «Portano nella loro musica il sapore nudo e crudo della strada. Mischiano il sudore, la rabbia, la ribellione, la polvere, i sorrisi delle genti nomadi...». Prossimo disco? «Esce quest’estate. Ci stiamo lavorando qui, nella mia base creativa e di lavoro vicino Lecce. Quando sono in Italia ormai mi divido fra Roma e la Puglia, con qualche puntata in Sicilia, dove ho ancora la famiglia. L’album non ha ancora un titolo. Sarà l’evoluzione di Aretuska, anzi, una sorta di Aretuska 2.0...».

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