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lunedì 24 marzo 2014
TRETRECINQUE, primo libro di IVANO FOSSATI
“Tretrecinque” non è un prefisso telefonico, come i più potrebbero pensare. È il modello di una storica chitarra semiacustica Gibson, a cui si è ispirato Ivano Fossati - ospite ieri sera di Fabio Fazio, a “Che tempo che fa”, su Raitre - per il titolo del suo primo romanzo, edito da Einaudi (pagg. 411, euro 18,50).
Racconta la storia di un musicista, Vittorio Vicenti, che comincia nel Piemonte degli anni Cinquanta e finisce negli Stati Uniti (dove lo chiamano Vic Vincent) dei giorni nostri. Un musicista la cui vita è segnata, nel bene e nel male, da un gran talento musicale e dalle indubbie doti di chitarrista. Ma rimane suonatore da sale da ballo. E la compagna della sua vita, quella che lo porta in giro per il mondo, è appunto la Gibson 335.
Vicenti è un uomo qualsiasi, fondamentalmente un uomo solo. La sua è “una vita imperfetta” (come recita il lancio del libro), avventurosa ma al tempo stesso ordinaria, che gli fa sfiorare fatti ed eventi importanti, senza esserne mai protagonista. È uno al quale le cose accadono attorno, lo sfiorano senza mai toccarlo né coinvolgerlo direttamente.
Il libro è insomma la storia di un musicista scritta da un grande cantautore da poco dimessosi non dalla musica ma da una quarantennale carriera di successo fatta di dischi e concerti. Ma non si pensi che Fossati racconti la storia di se stesso. Non è una storia autobiografica. L’eroe - anzi, sarebbe meglio dire l’antieroe - del libro sembra in realtà essere ai suoi antipodi.
C’è, fra le righe, un invito a muoversi, a viaggiare, a lasciare le sicurezze conosciute per sfidare l’ignoto. «Sì, il libro - dice Fossati, genovese, classe ’51 - è una specie di invito a non avere paura della distanza, specialmente per i giovani. Io ho viaggiato moltissimo e lo so. La vita può anche non girare bene dove tu ti trovi, ma se ti muovi può essere che vada meglio. In tempi come questi in cui bisogna essere pronti a spostarsi, a non avere paura dell’altro, i ragazzi non dovrebbero più considerare la frontiere. Vittorio lo fa in anni in cui viaggiare era difficile, non c’era la globalizzazione, e dice: si può avere paura degli uomini ma mai delle distanze».
Ancora l’artista: «Ho scritto per quarant’anni canzoni che richiedono sintesi e la capacità di dire le cose nel più breve spazio possibile. Sono due mestieri completamente diversi, per nulla contigui. Finchè è venuta fuori questa storia e mi sono inaspettatamente appassionato. Non essendo scrittore il solo modo che avevo era scrivere da lettore, pensando a quello che avrebbe emozionato me. E così è stato. Ci ho impiegato un anno, fra correzioni e tutto».
Il suo Vittorio gira il mondo e, passati i settanta, decide di raccontare la propria vita. Sente che i ricordi cominciano a evaporare e vuol far sapere al figlio e al nipote cosa è stata la sua esistenza sempre lontano dalla famiglia. Un bell’esordio.
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