mercoledì 12 marzo 2014

SAVORETTI domenica a Udine

Inglese di origini genovesi, Jack Savoretti non poteva che cominciare dal capoluogo ligure il suo primo tour italiano. L’ha fatto nei giorni scorsi, ottenendo una splendida accoglienza: la stessa avuta ieri sera al “Blue Note” di Milano. Stasera è a Bologna, venerdì a Torino, sabato a Firenze. E domenica alle 21.30, a Udine, all’Honey Money di viale Palmanova, unica data regionale del tour. Come ha cominciato con la musica? «È stata una cosa naturale, che ho scelto di fare. Verso i sedici/diciassette anni mi piaceva scrivere e poi ho avuto la fortuna di trovare sempre una chitarra in casa. Prima era solo un sottofondo, un motivo di divertimento. Man mano è diventata una cosa importante. E devo dire che ho sempre reputato più facile scrivere canzoni mie, piuttosto che cantare quelle degli altri». Le sue origini italiane? «Per me l’Italia ha sempre avuto una grande importanza. Mio padre, italiano, ascoltava sempre moltissime canzoni italiane, quando ci siamo trasferiti all’estero per lui era sempre un moneto di nostalgia e malinconia riascoltare la musica italiana. Mi è rimasto dentro questo modo cantautorale italiano di raccontare una storia, di descrivere quasi un film. E quando posso cerco sempre di tradurre questo metodo nella mia musica». Com’è stato aprire il concerto di Springsteen? «Eravamo all’Hard Rock Calling di Londra. Suonare prima di uno dei migliori, se non il migliore, performer della storia del rock è stata una lezione educativa. Sono rimasto letteralmente a bocca aperta nell’ammirare per tre ore il suo concerto. Abbiamo passato molto tempo con la sua band ed essere parte di quella giornata è stato un onore. Sono riuscito ad incontrare anche lui personalmente, ma solo per un tempo brevissimo». Le suona in molti festival: meglio dei concerti? «Sono due cose diverse. Il concerto è una cosa intima, dove la gente ti conosce e la maggior parte delle volte ha scelto di venirti ad ascoltare. È come se si instaurasse un rapporto d’amicizia anche senza conoscersi, è un modo per presentare le cose nuove, vecchie e a volte entrambe assieme. Ai festival non sai chi ti conosce e chi invece sì. La maggior parte delle volte, soprattutto inizialmente, non ti conosce nessuno, quindi è una battaglia diversa, però allo stesso tempo è li che capisci cosa funziona del tuo repertorio e cosa meno. Adoro entrambe le dimensioni. Sono semplicemente due sport diversi». L’esperienza nel video di Paul McCartney? «Abbiamo girato “Queenie eye” negli Abbey Road Studios di Londra, con Meryl Streep, Johnny Depp, Kate Moss, Sean Penn, tanti altri. È stata una cosa stupenda, sono stato colpito dalla sua umiltà e dal suo entusiasmo. Quello che è successo in quella stanza è qualcosa di inspiegabile. Ci ha anche cantato “Lady Madonna” al pianoforte. Siamo rimasti in contatto con Paul, con Springsteen purtropo no, ma con Paul ci siamo scritti qualche volta». Com’è nato l’album “Before the storm”? «È il mio terzo album, racconta della fase che va dall’adolescenza all’età adulta. Quel periodo di confusione quando sai che stai andando incontro alla tempesta e devi farti trovare preparato e pronto». A Casa Sanremo com’è andata? «Sono stato invitato dall’organizzazione e apprezzo molto cosa stanno facendo a Casa Sanremo, gli auguro molta fortuna e successo, perché stanno dando un sacco di opportunità agli artisti italiani giovani. Creano l’atmosfera giusta dove si possono esibire, magari davanti a gente che può aiutarli a portare avanti la loro musica». Conosceva il Festival? «Non vivendo in Italia, non l’ho mai seguito molto, ma lo conoscevo bene e ne sentivo parlare molto. Spero che nei prossimi anni ci sia sempre più spazio per la musica giovane italiana». Dopo questo tour italiano? «Saremo in tournèe in Inghilterra, poi andiamo un po’ in giro per il resto d’Europa per i vari festival. Passeremo per Londra dove il 12 luglio aprirò il concerto di Neil Young & Crazy Horse ad Hyde Park. Suonare il più possibile, insomma...».

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