domenica 26 maggio 2013

GREEN DAY, DODICIMILA A TRIESTE IN P UNITA'

One, two, one, two, three, four... Partiti! Alla faccia della pioggia, del maltempo e della malasorte che negli ultimi tempi sembra essersi accanita contro i Green Day, il gruppo californiano protagonista ieri sera in piazza Unità del primo grande concerto estivo (si fa per dire...) a Trieste e nel Friuli Venezia Giulia. Dodici minuti dopo le ventuno. Le note di “99 Revolutions” partono dal mastodontico palco che nasconde il municipio, attraversano la piazza e i dodicimila che l’affollano. Una massa sonora imponente, che elettrizza subito i tanti fan del trio (affiancati da altri tre strumentisti), molti dei quali arrivati anche dall’estero. Grande spettacolo di luci, primi brani tratti dalla trilogia “¡Uno!, ¡Dos!, ¡Tres!”: tre album pubblicati in pochi mesi, fra il settembre scorso e il gennaio di quest’anno. Da un punto di vista commerciale un azzardo, visti anche i tempi di crisi economica. Ma un segnale preciso del gran momento della band, attraversata da un furore creativo che ora, dal vivo, dopo che il cantante e leader Billie Joe Armstrong si è ristabilito (nell’autunno scorso il tour negli Stati Uniti è stato interrotto per un malore, che poi ha portato a un ricovero con successiva disintossicazione), permette loro di premere il pedale dell’acceleratore in maniera ancor più decisa. Soprattutto in concerto, si assiste a un netto ritorno alle radici punk rock. Messi da parte i toni quasi epici di lavori come “American Idiot” e “21st Century Breakdown”, contraddistinti anche da un certo recupero di suoni e atmosfere da rock più classico, ora si torna a brani che concentrano il massimo dell’energia in tre minuti. Pezzi composti su tre accordi, con riff e melodie immediate. Testi non troppo impegnativi. L’essenza del punk di una volta, insomma. In fondo, se i Green Day hanno un merito, è proprio quello di aver resuscitato il vecchio punk rock di tanti anni fa, e di averlo fatto conoscere alle giovani e giovanissime generazioni. Che partendo da loro hanno poi scoperto anche pietre miliari della storia della musica popolare della seconda metà del Novecento, come Clash, Sex Pistols, gli stessi Ramones. Billie Joe Armstrong, Mike Dirnt e Tre Cool, partiti nell’87 dalla loro California, attraverso una dozzina di album e quasi ottanta milioni di dischi venduti, hanno insomma riletto e rilanciato un genere che sembra destinato a morte sicura. E invece risorge sempre, quasi come un’araba fenice. Proprio come accade a questi tre (ex) ragazzacci, che con l’attuale tour (partito l’altra sera da Rho, Milano, e che proseguirà il 5 giugno a Roma e il 6 a Bologna) tornano finalmente a suonare in Italia dopo quattro anni. Nel 2010 erano all’Heineken Jammin’ Festival di Mestre, e furono fermati da una tromba d’aria. L’anno scorso, due annullamenti: prima per il maltempo al festival Rock in IdRho di Milano, poi per i guai di Armstrong a Bologna. Sembrava davvero una maledizione. Ma stavolta nemmeno quest’inverno a maggio ferma la macchina. E il grande show prosegue. Bello tosto, senza tanti fronzoli. Al popolo dei Green Day va bene così. Non possono mancare i tre singoli della recente trilogia: “Oh love”, “Stray heart”, “X-kid”. Come non si può nemmeno pensare di far decollare lo show senza classici come “Basket case”, “When I come around” e “Longview”. C’è tempo anche per altri brani e alcune cover, che sono altrettanti omaggi. Innanzitutto agli Ac/Dc, con "Highway to hell", ma anche alla classicissima “Satisfaction” dei Rolling Stones e poi persino alla beatlesiana “Hey Jude”. Torna in mente che qualcuno, fra tante inutili etichette, li ha definiti anche alfieri del punk melodico. È un fatto che l’energica galoppata ogni tanto vira su atmosfere meno arrabbiate. Ma in oltre due ore di show, fra una bandiera tricolore e qualche parolaccia, ci sta. Deve starci. A Trieste, serata fredda e bagnata ma al tempo stesso caldissima. Grazie alla rodatissima macchina rock messa su da quei tre (ex) ragazzacci. Partiti tanti anni fa dalla California. Alla conquista del mondo.

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