mercoledì 1 maggio 2013

Dischi, C DE ANDRE'

Mai fare confronti. Soprattutto se si è il figlio di Fabrizio De Andrè. Con l’ombra ingombrante di cotanto padre, l’ormai cinquantenne Cristiano De Andrè deve aver cominciato a fare i conti sin da piccolo. Non a caso, per il suo esordio discografico, giusto trent’anni fa, preferì celare il proprio cognome dietro a un gruppo chiamato Tempi Duri. Tanta acqua è ovviamente passata sotto i ponti. Il ragazzo è da tempo un uomo, Faber purtroppo non c’è più, la vita e la carriera di “C.” (così lo chiamava il padre) hanno offerto luci e ombre. Ma oggi, a dodici anni dal precedente album intitolato “Scaramante” e dopo il grande successo di “De Andrè canta De Andrè” (volumi 1 e 2, con tour annessi), Cristiano torna con un disco di inediti che si candida a essere la sua cosa migliore in una carriera ormai lunga. “Come in cielo così in guerra” (Universal) propone nove canzoni nuove (“Non è una favola” è il brano scelto come apripista e per la promozione radiofonica, e ricorda molto le atmosfere di papà Fabrizio...), più la versione italiana di “Le vent nous portera”, dei francesi Noir Désir. Per inciderlo, l’artista genovese è andato fino in California, affidandosi alla professionalità di Corrado Rustici e alle tecnologie dei Fantasy Studios. «Questo disco - spiega - parla di quello che abbiamo lasciato e abbiamo perso. Riappropriamoci di tutte quelle cose che abbiamo iniziato a buttare in una discarica quarant’anni fa. Torniamo a credere in noi stessi. È un periodo, il nostro, con cui non mi sento in sincrono. Un periodo che ha bisogno di schiacciare la fragilità invece di farla sedere come una vecchia signora sull’autobus. Non si dovrebbe aver paura delle cose dolci...». Alternandosi fra violino, bouzouki e chitarra acustica, De Andrè tratteggia dei quadretti ricchi di sfumature, che rimandano spesso al suo privato e alle sue fragilità. “Sangue del mio sangue” e “Disegni nel vento” scandagliano per esempio il suo essere padre, i rapporti (difficili) con i suoi tre figli. E anche “Il mio essere buono” parla del prezzo che si paga ad aver avuto un padre assente per diventare poi, a propria volta, un padre forse non all’altezza. “Il vento soffierà”, versione italiana - come si diceva - di un brano dei Noir Désir, è uno dei momenti più riusciti della raccolta: il tema è quello dell’infinito, dei grandi misteri della vita e dell’essere umano, messi a confronto con i limiti e le piccinerie delle persone. Album carico di pathos, che De Andrè sta portando in tour in giro per l’Italia, assieme ovviamente ai classici di papà Fabrizio (che ormai ripropone perfettamente, con cura e rigore filologici). Oggi sarà al Concertone del Primo maggio, organizzato dai sindacati a Roma e trasmesso da Raitre.

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