giovedì 30 maggio 2013

RUMIZ, Morimondo, il viaggio sul Po

«”Da dove venite?” mi chiese un pescatore pochi minuti prima della partenza per Sansego. Era una mattina benedetta da un sole limpido, io gli risposi “Da Torino”, e siccome lui non si scompose - sapeva benissimo che Torino stava sull’acqua e quell’acqua finiva in Adriatico - compresi che quella mia boutade era il vero filo rosso della storia. Dalle Alpi a Sansego, si stava chiudendo un viaggio perfetto...». In queste righe, verso la fine del libro, c’è forse buona parte del senso di “Morimondo” (Narratori Feltrinelli, pagg. 315, euro 18), la nuova fatica editoriale del giornalista e scrittore triestino Paolo Rumiz. È la storia di un viaggio, già raccontato a puntate l’estate scorsa su “Repubblica e poi diventato un film di Alessandro Scillitani, qui rivisto e sviluppato con episodi e riflessioni che non avevano trovato spazio sulle pagine del quotidiano. Il viaggio attraverso il Po, dalle Alpi a Sansego (isoletta a ovest di Lussino), appunto. Un itinerario inconsueto, perchè “quasi nessuno in Italia navigava sul Po per viaggi più lunghi di una singola giornata”, cominciato con alcuni amici (“cinque uomini e una donna”) in canoa e poi proseguito con altre imbarcazioni, fino alla barca a vela che affronta il mare aperto. Un’avventura che sembra sporgersi fuori dallo spazio, fuori dal tempo. Su un fiume che diventa una via di fuga. Fra mappe (ma anche disegni dello stesso Rumiz riprodotti nel volume) e taverne, canneti e affluenti, birre e imprevisti, zanzare e immondizia. Già, la monnezza. È la prima volta che un manoscritto descrive con tanta accuratezza il fiume d’Italia dal suo interno, segnala l’editor nel suo “avviso ai naviganti”. Ai lati e sull’acqua che scorre - e che è “il più perfetto dei fili narrativi”, sostiene l’autore - si trova di tutto: lavatrici, carcasse di automobili, materassi, pezzi di ferro, per non parlare della violenza dell’inquinamento. Rumiz attraversa il nostro Po, “la Mesopotamia d’Italia”, e pensa a fiumi già visti: “il Reno d’Alsazia fumante nei campi d’autunno” e “il Danubio d’inverno”, i fiumi slavi che sono “più vissuti dei nostri”. Fra suggestioni fluviali che odorano di Louisiana e Mississippi, di Gange e di colori africani, di Russia e Indocina. Nel viaggio, fra cibi e colori, vini e dialetti, non possono mancare gli incontri. Quelli con il “popolo del fiume” e con amici coinvolti nell’avventura. Fra questi c’è ovviamente Francesco Guccini, “lui che era nato in un mulino”, il bardo raggiunto nella sua Pavana sul Limentra, appennino tosco-emiliano. Un incontro speciale, che vale il momentaneo abbandono dell’imbarcazione e della “resa all’automobile”. Un certo Alex a un certo punto chiede: «Ma se il fiume è una risorsa, perchè è stato abbandonato? Che cosa è cambiato nella testa della gente?». Il libro di Rumiz è anche un feroce e documentato atto d’accusa nei confronti della gente e della politica che ha lasciato morire un fiume. Poi, finalmente rotta su Sansego. L’isola del tesoro. L’unica isola sabbiosa del Quarnero, “figliata forse dal Po in chissà quale era”. E il viaggio può finalmente terminare. In attesa del prossimo, ormai imminente: sui luoghi della prima guerra mondiale. Poco meno di un secolo dopo. Lo leggeremo quest’estate su “Repubblica”.

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