giovedì 11 dicembre 2014

GIANNI MORANDI COMPIE OGGI 70 ANNI: intervista

Gianni Morandi fa parte da oltre mezzo secolo della storia italiana, del nostro immaginario collettivo, delle nostre vite. Oggi compie settant’anni e si/ci regala un doppio cd, “Autoscatto 7.0”, che è una raccolta di venti suoi successi scelti dal pubblico più alcuni inediti. «Come sto? Mah, io bene - risponde al telefono dalla casa di San Lazzaro di Savena, vicino Bologna -, corro ogni mattina, anche se negli ultimi giorni sono stato preso da qualche paura. Mi spiego: a furia di parlare di questo compleanno ho temuto di non arrivarci. L’altro giorno sono andato al funerale di un mio amico di Monghidoro: aveva sessantadue anni, giocavamo assieme a pallone, stroncato da un infarto». Paura della signora in nero? «No, ma se deve succedere preferisco così, di colpo, com’è accaduto a Lucio Dalla, poche ore dopo un concerto a Montreaux. O l’altro giorno al povero Mango, addirittura sul palcoscenico. Morire non piace a nessuno, ma per un artista è la morte migliore. E poi Fiorello mi ha già messo in guardia: dall’eterno ragazzo all’eterno riposo è un attimo...». Cosa la sorprende di questi settant’anni? «Il pensiero di mio padre, ciabattino comunista, che quando feci il primo disco continuava a mettermi in guardia: stai attento, guarda che non dura, il successo finisce presto. Lui mi ha cresciuto con la mentalità del contadino. Avevo diciassette anni, la mia carriera - nonostante il periodo buio degli anni Settanta - dura da oltre mezzo secolo. Davvero, non lo avrei mai immaginato». Pensa mai di smettere? «Ancora no, anche se mi rendo conto che bisogna capire quando è il momento di smettere. Ma sono circondato da artisti più anziani di me che vanno ancora avanti. Non parlo di Aznavour, bravissimo a 92, ma anche Paul McCartney e Mick Jagger, che hanno un paio d’anni più di me, non mollano». Che Italia era, quella dei suoi esordi? «Semplice, povera ma certo più felice. Eravamo contenti con poco. E non è retorica. Nella musica, poi, c’era una pagina bianca tutta da scrivere. Mi considero molto fortunato per la carriera e la vita che ho avuto». Ci ricorda gli inizi? «A quattordici anni cantavo alle feste dell’Unità e nelle balere della mia zona per mille lire a sera. Poi fui selezionato dalla leggendaria maestra di canto Alda Scaglioni di Bologna, grazie alla mia interpretazione di “Nel blu dipinto di blu”, di Modugno». Ma è vero che deve molto a un allenatore di boxe? «Sì, mingherlino com’ero mi cimentavo anche nel pugilato. E il mio allenatore, Paolo Lionetti, era anche un appassionato di musica. Dopo qualche concorso per voci nuove in Emilia Romagna, mi portò a Roma, dove venni ingaggiato dalla Rca e nel ’62 debuttai con “Andavo a cento all’ora”...». Successo subito? «Quasi. Il disco vendette novantamila copie, poca roba per l’epoca, quando i 45 giri si vendevano a carrettate. Ma andai in tivù ad “Alta pressione”, la Rca ci lanciò con Rita Pavone come i “cantanti ragazzini”, e pochi mesi dopo, quando uscì “Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte”, feci veramente il botto». Il periodo buio? «Dopo la sbornia di successo, arrivò il declino. Il pubblico voleva i gruppi rock o i cantautori impegnati, io ero considerato vecchio, anche se non avevo nemmeno trent’anni. Nel ’70 fui anche contestato durante un concerto. Mi feci da parte, andai a studiare al Conservatorio, non ero nemmeno sicuro che sarei tornato, non immaginavo che la parte più lunga della mia carriera doveva ancora cominciare. E devo dire una cosa...» Dica... «Ricordo bene che fu proprio il “Piccolo”, sarà stato l’82, ad annunciare con un’intervista il mio ritorno in scena dopo la parentesi grigia degli anni Settanta. Stavo per lanciare “Canzoni stonate”, la canzone di Mogol e Aldo Donati che segnò il mio ritorno». Parliamo del nuovo disco? «Volentieri. Ogni sera trascorro un’oretta a chiacchierare con i fan su Facebook, aggiorno personalmente il mio profilo, e il mio milione e centomila “like” dimostra che il pubblico apprezza. Così è nata l’idea di lasciare la scelta dei brani a loro, ai giudici supremi». Qual è stata la canzone più votata? «”Uno su mille”, ma anche “Vita” in duetto con Dalla è stata indicata da molti. Pensi che quella canzone era stata pensata per Mina, che non volle cantarla. Inizialmente doveva intitolarsi “Cara”, ma poi Mogol decise di cambiare perchè due uomini che duettavano chiamandosi “cara” non era il massimo...». Quest’estate ha fatto un giro in Istria. «Sì, da qualche anno d’estate non lavoro più tanto, con Anna (la seconda moglie, madre del terzo figlio Pietro, diciassettenne - ndr) giriamo molto. Tanti anni fa avevo fatto un giro sulla costra istriana e dalmata. Quest’anno abbiamo visitato Rovigno (nella foto grande - ndr), Parenzo, Pirano, altri centri dell’interno. Tutto davvero molto bello». Trieste? «Sulla via del ritorno ci siamo fermati per un paio d’ore, il tempo di mangiare in un locale molto caratteristico. L’ho trovata molto più viva, e poi lungomare e piazza Unità sono sempre bellissimi. Ogni volta che torno ricordo i tanti concerti, a San Giusto negli anni Sessanta, in tempi più recenti al Rossetti, al palasport, sotto un tendone...». Sanremo? «Quest’anno lo vedrò da spettatore. Ho bellissimi ricordi sia delle edizioni che ho condotto che di quelle a cui ho partecipato in gara. Ma al Festival credo ormai di avere già dato. E non voglio sembrare quello che ancora si spinge per essere presente». Prepara un tour? «Non immediatamante. Farò le cose con calma, non c’è nessuna fretta, penso di avere diritto a prendermi un po’ di riposo, a godermi la mia famiglia. Lo sa che ho cinque nipoti, tutti maschi? Due di mia figlia Marianna, tre di Marco, due dei quali gemelli...». Neanche progetti per la tv? «Sì, in verità lì qualcosa si muove. Con la Rai si è parlato di un film per la televisione, non musicale, però. Ma finora siamo ancora ai preliminari, chissà se alla fine lo faremo...». Il cinema è ancora il suo secondo amore? «A parte i ”musicarelli” (i film degli anni Sessanta che avevano lo stesso titolo e gli stessi interpreti delle canzoni di successo - ndr), mi sono tolto delle belle soddisfazioni. E non saprò mai come sarebbe andata se, dopo “Le castagne sono buone” di Germi, nel ’70, avessi accettato il ruolo drammatico che Bellocchio mi propose con “I pugni in tasca”. Ma i miei discografici non mi permisero di accettare. E quella parte andò a Lou Castel». È vero che alle ultime regionali non ha votato? «Sì, per la prima volta nella mia vita. Quando a Monghidoro vendevo l’Unità porta a porta c’era Togliatti. Passando per Berlinguer, Occhetto e qualche altro siamo arrivati a Renzi. Sinceramente non mi sembra il massimo. Non mi aspettavo che finissimo così, vent’anni dopo Mani pulite la corruzione non è stata sconfitta, anzi, mi sembra aumentata. Mi sconcerta vedere come è cambiato il modo di fare politica». Aldo Grasso l’ha punzecchiata sul “Corriere”. «Ha scritto che ho il cuore a sinistra, ma a Sanremo e al concertone all’Arena di Verona per Canale 5 ho lavorato con uomini di destra. Gli ho mandato un messaggio, in cui lo ringraziavo per avermi citato sulla prima pagina del Corriere. Io non litigo con nessuno...».

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