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venerdì 14 agosto 2015
ORNETTE COLEMAN, 15-5-74 a TRIESTE, MANICOMIO DI SAN GIOVANNI
Quel giorno la libertà entrò nel manicomio di San Giovanni vestita di una splendida giacca patchwork. Pezzetti di velluto cuciti l’uno con l’altro. Di tutti i colori. Quasi la rappresentazione visiva della musica che usciva a scatti nervosi dal sax di quel signore che vestiva la giacca in questione. E noi ragazzi, affamati di musica, rimanemmo a bocca aperta.
Lui era Ornette Coleman, classe 1930, americano del Texas, nero, uno dei maggiori innovatori della musica jazz degli anni Sessanta e Settanta. Il profeta del “free”, forma di jazz nata fra New York e Chicago, quasi parallelamente alle grandi battaglie razziali di Martin Luther King e di Malcom X.
E in quel maggio del ’74, in una Trieste che viveva un’altra grande battaglia di libertà e di dignità delle persone, il concerto di Coleman fu il primo di una serie che contribuì ad abbattere il cancello che separava il vecchio frenocomio aperto nel 1908 dal rione di San Giovanni e dalla città di Trieste. E a dar corpo all’unica rivoluzione, quella basagliana, che la città ha visto nascere e compiersi.
In quella sera di maggio il jazzista statunitense propose con il suo quartetto una musica assolutamente libera, fuori dagli schemi conosciuti, basata quasi interamente sull’improvvisazione. Seguiva l’estro del momento. Ispirato da una situazione circostante che vedeva centinaia di giovani appassionati di musica, attirati dal grande nome, mischiati a qualche decina di pazienti. I cosiddetti matti, a tratti divertiti ma forse più spesso spaesati dinanzi a quel che stava accadendo attorno a loro. In quel campetto di calcio che anni dopo lasciò il posto a una brutta costruzione ma quella sera era un luogo di libertà. Dove i presunti normali stavano fianco a fianco ai presunti matti.
Di più. Nei momenti in cui la frammentazione e l’irregolarità del ritmo e della metrica venivano portate alle estreme conseguenze, in una cavalcata musicale condotta da un sax quasi impazzito e supportata da una solida sezione ritmica, alcuni di quei matti ridevano, altri si chiudevano le orecchie con le mani. Rimpiangendo probabilmente il silenzio e la tranquillità che in quel parco, fino a quella sera, l’avevano fatta da padrone.
Sì, perchè dopo quella sera, nel parco e nel piccolo teatrino del grande ospedale psichiatrico, nulla fu più come prima. Poco meno di un mese dopo, il 12 giugno, arrivano gli Area del compianto Demetrio Stratos. Dopo l’album d’esordio, “Arbeit macht frei”, ovvero “il lavoro rende liberi” (frase che stava scritta all'ingresso dei campi di sterminio nazisti...), era appena uscito il disco “Caution Radiation Area”. Con dentro un brano intitolato “Lobotomia”, dedicato a Ulrike Meinhof e caratterizzato da suoni ossessivi e lancinanti: l’ideale per un concerto dentro a un manicomio...
A settembre a San Giovanni arriva il quartetto di Giorgio Gaslini, poi Gino Paoli, i napoletani Saint Just, Dodi Moscati, Franco Battiato con Juri Camisasca, tanti altri. Maggio ’74, giusto un secolo fa.
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