sabato 21 gennaio 2012

PSICHIATRIA, TRIESTE E TURCHIA


La Turchia chiude i manicomi, e guarda al modello triestino per avviare la sua riforma psichiatrica. Lo comunica Peppe Dell’Acqua, direttore del Dipartimento di salute mentale triestino, appena tornato da Istanbul.

«Tutto è stato molto rapido - dice lo psichiatra, salernitano di nascita e triestino d’adozione -. Nel luglio del 2010 una loro delegazione era venuta a visitare le nostre strutture, per capire com’era stata sviluppata l’esperienza triestina. So che poi andarono anche in Olanda, in Inghilterra e in Germania. Ma al ritorno da questi viaggi, si resero conto che Trieste era quella che loro hanno chiamato la “shock room”. Qui insomma hanno capito quel che si può fare e soprattutto come lo si può fare. Da allora i nostri operatori sono andati in Turchia e i loro sono venuti da noi già diverse volte...».

Il risultato è che, prima di venire a Trieste, la sanità turca aveva un certo tipo di idea, di progetto per la sua riforma psichiatrica, mentre poi ne ha adottato e ora ne sta realizzando un altro, completamente diverso.

«In Turchia - prosegue Dell’Acqua - c’erano solo otto manicomi con circa diecimila internati, su una popolazione di ben settantadue milioni di abitanti. Il loro progetto iniziale era quello di realizzare, all’interno della riforma psichiatrica, 280 piccoli ospedali psichiatrici. Dopo quel viaggio di un anno e mezzo fa, hanno annunciato che il loro modello psichiatrico è quello italiano, con particolare attenzione all’esperienza triestina».

«E visto che sono un paese molto centralista - aggiunge lo psichiatra - sono partiti in quarta. Hanno appena aperto quarantatre dei duecento centri di salute mentale previsti nel progetto di riforma. Ci hanno chiesto una collaborazione nella realizzazione e nell’organizzazione del progetto, e non ci siamo tirati indietro. Come abbiamo già fatto in passato con tanti altri paesi, in giro per il mondo...».

Già, perchè la regola del “nemo propheta” vale dappertutto e ovviamente anche a Trieste, dove i cosiddetti “basagliani” non sempre vedono riconosciuti i propri (indubbi) meriti. E spesso si tace sul fatto che l’esperienza maturata nel corso degli ultimi quattro decenni fra il parco di San Giovanni, i centri di salute mentale e gli appartamenti sparsi per la città è stata già esportata in Argentina e in Brasile, in Corea e in Romania, a Cuba e in Colombia, per non parlare delle “vicine” Croazia, Serbia, Bosnia, Albania...

«Sono in tutto una cinquantina - spiega Dell’Acqua - i paesi che, in maniere diverse, si sono appoggiati a noi in tutti questi anni. Anni nei quali sono venuti a Trieste migliaia di operatori in formazione, che molto spesso, tornati a casa, sono diventati protagonisti di primissimo piano delle politiche sanitarie e psichiatriche dei loro paesi».

Molto proficui anche i rapporti con l’Inghilterra. «Con la particolarità, in questo caso, che noi negli anni Sessanta e Settanta ci siamo ispirati ai modelli inglesi per avviare e portare avanti il nostro percorso. Mentre ora loro vedono proprio Trieste come possibile e concreto modello di nuovo sviluppo...».

Ma torniamo alla Turchia. Nei giorni scorsi, in occasione dell’apertura dei primi centri di salute mentale, e in presenza della delegazione triestina, è stata proiettata la fiction della Rai “C’era una volta la città dei matti”, sottotitolata in lingua turca. E se in Italia lo sceneggiato televisivo ha raccontato al grande pubblico ciò che è, o dovrebbe essere già storia, altrove ne può segnare l’inizio, come ha detto il ministro della Salute turco, Recep Akdag.

Il Dipartimento di salute mentale di Trieste - che è anche Centro collaboratore dell’Oms per la ricerca e la formazione - è stato dunque coinvolto a fini sia consultivi, sia come formatore privilegiato di operatori che possano dotarsi degli strumenti e del sapere necessari a gestire i neonati servizi.

Dopo la prima visita del luglio 2010, nell’agosto scorso una delegazione del ministero della Sanità turco, tra cui il sottosegretario Omer Farukkocac, accompagnata dalla rappresentante dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Maria Cristina Profili, ha effettuato un’approfondita visita alle strutture triestine. Una visita concordata qualche mese prima durante il meeting internazionale “Beyond the walls.

Il passaggio dall’ospedale ai servizi territoriali”, incontro che aveva per obiettivo la formulazione di una dichiarazione congiunta sul superamento delle istituzioni psichiatriche e il lancio di progetti di parternariato, finalizzati allo sviluppo di servizi efficaci di comunità, così come previsto dal Piano di azione di Helsinki 2005 sulla salute mentale per l’Europa.

«Noi siamo qui oggi - aveva ribadito in quella circostanza Dell’Acqua - perché il manicomio di Trieste non c’è più, perché stiamo desiderando che non ci siano più manicomi in tutto il mondo e perché oggi c’è una grande rete che unisce tutti i Paesi, un network di persone (operatori, individui che hanno vissuto e vivono l’esperienza del disturbo mentale, familiari...) che sono protagonisti di questo cambiamento e cercano di costruire politiche di salute e di speranza».

Quelle politiche ora stanno diventando realtà anche in Turchia, dove i vecchi manicomi presentavano quelle stesse situazioni di abbandono e dolore uguali in mezzo mondo. E dove i pazienti turchi vivevano reclusi, senza alcuna speranza di ricevere risposte terapeutiche adeguate ai loro problemi.

«Mi torna in mente - ricorda Peppe Dell’Acqua - una frase che il sociologo canadese Erving Goffman aveva detto quarant’anni fa a Franco Basaglia. Il senso era questo: per visitare gli ospedali psichiatrici non c’è bisogno di conoscere le lingue, il dolore e le cose sono uguali dappertutto...

«Anch’io - conclude lo psichiatra -, in questa esperienza turca ma anche in tutte quelle precedenti in giro per il mondo, mi sono reso conto di quanto quelle parole fossero vere. La psichiatria, e i problemi a essa legati, sono uguali dappertutto. Non ci sono differenze».

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