«Mi sento come quando si chiude un libro dopo averlo letto tutto d’un fiato. La mia carriera e le canzoni mi hanno fatto vivere anni irripetibili. Scintillanti e qualche volta non facili allo stesso tempo. Ma si può provare a guardare anche più avanti di così e adesso vorrei proprio farlo...».
Ivano Fossati stasera al Piccolo Teatro di Milano conclude il “Decadancing Tour” e, incidentalmente, la sua carriera. Non sono passati nemmeno sei mesi da quella prima domenica di ottobre. Ospite di Fabio Fazio su Raitre, comunicò la decisione con calma, con quell’espressione «che abbiamo noi che abbiamo visto Genova...». Ultimo album, ultima tournée, basta con il mestiere di cantautore. Qualcuno credette al solito annuncio promozionale, per lanciare un disco nuovo con annessa serie di concerti. Non lo conosceva.
Eppure l’aveva spiegato bene: «È una decisione serena, di quelle che si prendono in tanto tempo. Ho compiuto sessant’anni e ho sempre saputo che, raggiunta questa età, avrei voluto cambiare, fare altro». E ancora: «Mi sono sempre chiesto se al prossimo disco avrei potuto garantire la stessa passione che mi ha portato fino a qui. Non credo che potrei ancora fare qualcosa che aggiunga altro rispetto a quanto, nel bene e nel male, ho messo nei dischi finora».
Va detto che l’album “Decadancing” ha beneficiato dell’effetto annuncio. Pur non all’altezza di suoi tanti capolavori, ha frequentato per molte settimane i vertici delle classifiche. E anche il tour giunto all’epilogo - e passato anche a Udine, giusto un mesetto fa -, con le sue quarantatre date tutte esaurite, ha conosciuto numeri non usuali.
Ma ciò non inficia la serietà, la grandezza di una decisione che non ha molti precedenti. L’industria della musica, in Italia e all’estero, è piena di personaggi che non mollano le luci della ribalta neanche se presi a pedate. Gente che, avesse fatto un lavoro “normale”, sarebbe da un pezzo in pensione anche con le restrittive regole inaugurate dal governo dei tecnici. E invece è ancora lì, a tentare la fortuna con un altro disco, a raccattare l’interesse dei nostalgici con l’ennesimo tour, a monetizzare fama e fortuna lontane con un’apparizione in tivù. Per non parlare di quelli che annunciano il ritiro, e poi, dopo un paio d’anni, magari con la formula di una non necessaria “reunion”, come se niente fosse si ripresentano a raschiare l’ennesimo fondo dell’ultimo barile.
Fossati è di altra pasta. Ci ha regalato grande musica e canzoni memorabili (“La costruzione di un amore”, “Mio fratello che guardi il mondo”, “Una notte in Italia”...), mai banali. Dagli esordi giovanissimo con i Delirium (l’album “Dolce acqua” nel ’71, “Jesahel” a Sanremo ’72...) all’attività come autore (per Mia Martini, Mina, Patty Pravo, Vanoni, Berté, Mannoia, Oxa: domani Emi pubblica un album, “Pensiero stupendo”, dedicato al Fossati autore), dalla collaborazione con De Andrè (“Le nuvole” e “Anime salve”) alla lunga discografia solista: “La mia banda suona il rock” e “Panama e dintorni”, “Le città di frontiera” e “Ventilazione”, “700 giorni” e ”La pianta del tè”, “Discanto” e “Lindbergh”. E ancora “Macramè”, “La disciplina della terra”, “L'arcangelo”...
Stasera, a Milano, saluta la compagnia. Con una dignità che dovrebbe essere d’esempio per molti. In tanti settori.
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