sabato 3 marzo 2012

JOVANOTTI AL PALATRIESTE, NEL RICORDO DI FRANCESCO PINNA E LUCIO DALLA

di Carlo Muscatello TRIESTE Ventidue e dieci di ieri sera. La prima parte del concerto è volata via a mille, a ritmo sostenutissimo, mitigato appena dal set acustico con tre classici ("Le tasche piene di sassi", "Come musica", "A te") cantati in coro col pubblico. E' ora che Jovanotti, cravatta rossa e scarpe luccicanti, decide di fermare la sua danza, fa accendere le luci, saluta il pubblico e ricorda Francesco Pinna. Difficile guardare quel palco, e non pensare che lì sotto, meno di tre  mesi fa, ha perso la vita il giovane triestino. E amaro destino, in fondo, dover fare comunque uno spettacolo - per forza di cose allegro, gioioso, solare - proprio laddove c’è stato un lutto. Ma Jovanotti è persona sensibile, sa trovare le parole. Ricorda i fatti di quel tragico 12 dicembre, quando Francesco rimase sotto il palco. Chiede un minuto di silenzio, non vola una mosca. «La sua famiglia è qui - dice il ragazzone quarantacinquenne - aiutiamo l'associazione per cui Francesco lavorava, abbiamo ripreso perchè suonare è la mia vita, perchè suonare è il mio modo per celebrare la vita, che è la cosa più importante ma anche piu fragile  che c’è". Parte "Ora". Commozione autentica, sul palco e fra il pubblico. Ma la vita va avanti e deve andare avanti, sembra suggerire il musicista alla sua gente. Che è venuta per onorare la memoria di Francesco ma anche per sentire le sue canzoni. Quelle dell’album che dà il titolo a questo tour, durato fra una cosa e l’altra un anno, e che si conclude  domani a Bologna. Guarda a volte il destino, nella città e nella  giornata dei funerali - oltre che del sessantanovesimo, mancato, compleanno - di Lucio Dalla, ricordato ieri sera con "L'anno che verrà" in versione acustica. Spettacolo dunque più che rodato, già visto in mezza Italia. Apertura con le stelle, il filmato di Piero Angela che invita tutti a un “viaggio stellare”, un presente giocato sul crinale tra tribalità ed  elettronica, tra realtà e immaginazione, tra vero e falso. Fra questi estremi, l’allampanato ex dj (vi ricordate “E’ qui la festa”, “1, 2, 3... casino”, “Mamma guarda come mi diverto”?) si muove come un esperto e spericolato acrobata, intento a unire mondi apparentemente diversi. Palco diviso in due: da una parte i musicisti, che a volte danno  l’impressione di essere al lavoro in studio, più che nel pieno di un concerto; dall’altra lo schermo che rimanda immagini, volti, situazioni da comporre e scomporre e ancora ricomporre, fra giochi di  prestigio e geometrie di luce, simmetrie e asimmetrie, zoomate che vanno a cercare i particolari più segreti delle cose e delle persone, dal pianeta Terra fino alle mani dell’artista. Quasi un film in 3d,  ricco di meraviglie tecnologiche. Per costruire il nuovo progetto - aveva spiegato Lorenzo - «mi ero immaginato come un crooner elettronico, un Dean Martin che canta sulla  luna». Prima parte molto elettronica, c’è molto ritmo nell’universo sonoro di quella banda che suona sul palco. Dove ogni tot minuti, come in una festa tecno, sembra cambiare tutto ma in realtà non cambia nulla: siamo sempre e comunque nella macchina musicale immaginata da Jovanotti per sé e per il suo pubblico. Con quel palco, quel maledetto palco, che rappresenta l’impalcatura non soltanto materiale dello show. Le canzoni dell’ultimo album s’intrecciano con i classici di un repertorio ormai ventennale (gli esordi sciocchini nemmeno fanno testo...), senza aver sentito i quali la gente non andrebbe mai a casa. Tanto ritmo, come si diceva, e tanta elettronica, ma anche dei set acustici che per noi rimangono le cose migliori dello show. Dentro lo scrigno, perle travestite da ballate come “Piove", “Raggio di sole”, “Serenata rap". Non possono mancare “Mi fido di te", “Penso positivo”, “Ragazzo fortunato”, “Baciami ancora”... Trionfo atteso e annunciato.

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