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giovedì 7 agosto 2014
LIGABUE sab 6-9 a trieste, stadio rocco / INTERVISTA
«Abbiamo fatto altri concerti a Trieste, ma il primo ricordo che si affaccia nella mia memoria è per il video di “Eri bellissima”. L’abbiamo girato sul terrazzo di un edificio, in centro città. La luce era perfetta. Da lì sopra vedevamo il mare, bellissimo. C’era un’atmosfera davvero magica, tramonto compreso, che è finita nelle riprese di questo videoclip che resta uno dei più belli fatti su una mia canzone...».
Risponde così Ligabue alla domanda se ha qualche ricordo particolare su Trieste, la città da dove ripartirà a settembre il suo “Mondovisione tour - Stadi 2014”. L’appuntamento è fissato da tempo per sabato 6 settembre allo Stadio Rocco, che quasi sicuramente quella sera sarà pacificamente invaso da altri trentamila spettatori dopo quelli di giugno per i Pearl Jam: due “tutto esaurito” per il rock in poco più di due mesi, roba che a queste latitudini non era mai successa...
Ligabue, com’è tornare negli stadi dopo l’anteprima primaverile nei palasport?
«Vuol dire - dice il rocker, classe 1960, emiliano di Correggio, provincia di Reggio Emilia - girare con una produzione enorme per cercare di rendere felici decine di migliaia di persone ogni sera. La sensazione di avere una fuoriserie a disposizione».
Fuoriserie anche il palco.
«Mi piaceva l’idea di un palco in cui io fossi “esposto” verso il pubblico invece che “ritirato” in una specie di caveau, come di solito sono i palchi dei concerti. Mi proposero una struttura a centoventi gradi. Ne ho chiesta una a centottanta facendo svenire progettisti e ingegneri. Che dicevano: non è mai stato fatto, se non è mai stato fatto un motivo ci sarà... Poi, però, hanno realizzato egregiamente questa struttura».
A metà concerto lei si ferma e fa cantare il pubblico.
«Amo vedere l’effetto che producono le mie canzoni. L’entusiasmo con cui la gente le canta rende quel momento uno dei miei preferiti dello show. Ormai si ascolta musica ovunque, ma le canzoni hanno ancora potere. Quando vado ai concerti, non solo ai miei e non solo concerti italiani, e vedo la gente cantare tutte le canzoni per me è un miracolo. Mi piace pensare che ci sia ancora la possibilità di produrre tanta emozione da condividerla e di avere come collante le canzoni».
Recentemente è tornato alla radio, con particolare attenzione agli anni che finiscono per 7...
«Ho fatto una serie di puntate radio che si occupavano della musica prodotta negli anni “sette” di ogni decennio: 1967, 1977, 1987, 1997. Il sette è il mio numero preferito ed è risultato che, fortunosamente, in ognuno di quegli anni è stata prodotta grande musica».
Meglio la radio o internet?
«Sono cresciuto con la radio, ma sinceramente non saprei come paragonare la radio con internet. Sono due mezzi molto lontani fra di loro. Diciamo che a volte mi sono servito di internet per diffondere alcune trasmissioni radio che avevo fatto».
In “Mondovisione” si coglie un senso di amarezza e sembra esserci più spazio per il messaggio parlato più che suonato.
«C’è, credo, soprattutto un senso di indignazione. Però non c’è rassegnazione e continuo a parlare di speranza. Dal punto di vista musicale sono molto contento del risultato sonoro».
Nel concerto, sul maxischermo, a un certo punto appare la scritta “Chi doveva pagare non ha mai pagato”.
«Gli impuniti sono tanti. Per esempio gli artefici della bolla finanziaria che ha prodotto i guasti economici in cui stiamo versando».
Ne “Il sale della terra” parla di potere, di politica.
«Sì, e nel concerto facciamo vedere degli aforismi sul potere. È un brano in cui l’ironia è molto amara, non sembra quasi ironia, c’è un’indignazione che va oltre questa ironia, nel vedere quanto la politica abbia il potere di corrompere chi si ritrova ad averlo fra le mani e la cui prima paura è sempre quella di perderlo».
Prosegua...
«Ho voluto ricordare con pochissimi numeri il costo totale della politica. Sono dati che chiunque trova ovunque, se decidi di metterli su uno schermo vuol dire che ti piace pensare che la gente faccia una riflessione non solo sulle parole ma anche su pochi dati che hanno a che fare con la difficoltà a far funzionare questo paese. Questa crisi è figlia di diversi aspetti, quello che ci han detto è che è figlia di una crisi mondiale e i responsabili di quella crisi è evidente che non hanno pagato. Chi ha pagato è chi non ha commesso niente».
Lei crede, le piace questo Papa?
«Sono stato cattolico e questo credo voglia dire che uno non smette mai di esserlo del tutto. Ho un forte bisogno spirituale e questo Papa mi piace molto».
Il disco e il tour a cui è più affezionato?
«Non riesco a fare classifiche di questo tipo. Di certo, però, questo è un tour particolarmente riuscito sotto tutti gli aspetti».
Arriva prima il prossimo libro o il prossimo disco?
«Per il momento arriva prima il concerto di Trieste».
Ha ancora un sogno?
«Sono fedele al titolo della canzone che chiude “Mondovisione”: sono sempre i sogni a dare forma al mondo. Il che vuol dire anche che non smetto mai di produrne...».
E Luciano Ligabue, in arte solo Ligabue, unico italiano assieme a Vasco (ma non chiedetegli della vera o presunta rivalità...) capace ancora di riempire gli stadi, i suoi “sogni di rock’n’roll” continua a produrli ormai da quel lontano 1990 in cui pubblicò il suo primo album, quello di “Balliamo sul mondo”, “Non è tempo per noi” e appunto “Sogni di rock’n’roll”.
Il pubblico lo ama, ama le sue canzoni ma lo considera anche una sorta di maître à penser. Che però non si prende mai troppo sul serio. Sostiene infatti: «Una volta ho detto che “avere un pubblico” è un’espressione secondo me inappropriata. Il pubblico non lo possiedi mai, ti viene dato in prestito per un certo periodo di tempo e poi cambia si modifica nel tempo. Quando mi ritrovo a parlare di pubblico mi sento sempre di mancare un po’ di rispetto nei confronti dell’unicità di ognuno di loro...».
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