venerdì 1 agosto 2014

LINO STRAULINO, Bar Italia

S’intitola “Bar Italia” il nuovo album di Lino Straulino, cantautore e grande ricercatore e interprete della tradizione musicale friulana. Suona nei teatri e nelle osterie, dopo una carriera ormai trentennale sempre in bilico fra folk, rock e blues, è considerato uno dei maggiori esponenti della Nuova musica friulana. Ma questo disco comprende canzoni in italiano. «Quelle canzoni mi inseguivano da anni - spiega Straulino, classe 1961, nato a Sutrio, in Carnia -, ogni tanto tornavano a bussare alla porta dei ricordi. Le ho sempre considerate canzoni “minori” in quanto scritte in gioventù, con strumenti piuttosto limitati. Ma c’era un entusiasmo creativo tipico dell’età in cui le cose ti sgorgano più per “magia” che per consapevolezza. Così ho deciso di farne un disco». Anni Ottanta, per lei che periodo era? «Li ho vissuti col sapore amaro della fine dei Settanta e la preoccupazione per la piega generale che stava prendendo la musica. Alla cultura della condivisione e dell’apertura mentale si stava opponendo una visione edonistica finalizzata ad anteporre su tutto il culto dell’apparire. Era l’epoca della disco italiana, del punk da barricata, della wave di provincia e del jazz fusion da quartiere residenziale». E lei? «Vuoi per scarsità di mezzi vuoi per mia inclinazione innata, mi sono dedicato alla riscoperta e alla pratica della musica popolare, complici gli amici di Folkest e una manciata di dischi d’oltremanica che mi facevano compagnia». Canzoni in italiano per un artista legato al friulano. «Può sembrar strano ma chi parla più lingue dovrebbe naturalmente cercare di esprimersi in ognuna di esse. All’epoca scrivevo in entrambi i codici ma risultò più semplice trovare un piccola produzione locale in lingua friulana a scapito dell’altra. Il terremoto aveva lasciato un profondo desiderio di friulanità nelle comunità di paese e si era affermato un discreto mercato discografico locale specializzato». Il primo disco? «Una cassetta uscita nell’83 per la casa discografica Avf di Checco Comelli, grazie a Dario Zampa. Ma la scelta musicale di utilizzare uno stile cantautorale “alla Bob Dylan” non venne capita dal pubblico». “Il vento della vita” è l’unica canzone recente. «Maurizio Mattiuzza, poeta e amico, venne anni fa a farmi visita con quel testo. Scrissi una melodia sulla traccia fornita dalle parole. Una canzone che amo molto, si presterebbe a una ampia orchestrazione». Dov’è il Bar Italia? «A Sutrio, l’edificio esiste ancora. L’esercizio pubblico non più. Ma resiste come luogo d’incontro nel cuore di chi durante quegli anni lo frequentava. Era un bar di gioventù di paese dei primi anni Ottanta. Con la barista Elda che era la nostra donna delle meraviglie: mini vertiginosa, sorriso accogliente e un cuore d’oro». Voi? «Una banda di sognatori armati di chitarre, flauti, tamburi e tanta voglia di fare festa assieme. Era il nostro covo, il nostro ritrovo, lo scoglio da cui partire e il porto dove ritrovarsi». Lei vive di musica? «No, faccio da trent’anni il maestro elementare in Carnia. La musica è la mia passione, cominciata molto presto. Mia mamma era una contadina che amava la lirica e l’arte. Mio padre aveva la passione per il canto, come molti montanari. A undici anni il piano, a quattordici la prima chitarra, a diciassette le prime canzoni. Sono stato fortunato perchè ho sempre fatto la musica che mi piaceva fare e ancora vado avanti con questo passo». Quanti dischi ha fatto? «Negli ultimi vent’anni una trentina, grazie a Valter Colle, tra opere a mio nome e collaborazioni varie, senza ripetermi quasi mai. Cioè ogni disco è un capitolo a sé e niente o poco ha a che fare con gli altri». Victor Jara? «Un simbolo di libertà, ho tradotto la sua opera in friulano. Ma ho anche musicato poeti e arrangiato canti tradizionali. In molti dischi ho suonato da solo tutti gli strumenti». Sogni? «Ancora tanti, molti legati alla musica. Uno è quello di suonare prima o poi a Trieste: ancora non mi è mai capitato...».

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