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sabato 18 ottobre 2014
GARY BRACKETT, dal LIVING THEATRE a Trieste
Quando nell’aprile ’65 il Living Theatre arrivò per la prima volta a Trieste, e Julian Beck e Judith Malina finirono la serata in questura, Gary Brackett aveva appena cinque anni. Mezzo secolo dopo i fatti (“Mysteries and smaller pieces”, andato in scena all’Auditorium, sala da anni chiusa e adiacente proprio alla questura, prevedeva alcune scene di nudo che “infastidirono” alcuni spettatori oltre a un commissario presente in sala...), l’artista del North Carolina vive e lavora proprio a Trieste. Ha cominciato a collaborare con il Living a metà degli anni Ottanta, non ha fatto in tempo a lavorare con Julian Beck, scomparso nell’85, ma ha affiancato per anni Judith Malina nelle attività del leggendario teatro d’avanguardia, nato a New York nel ’47. Oggi è il responsabile di Living Theatre Europa.
Gary, aveva sentito parlare della serataccia triestina?
«Sì, Judith e altri attori me ne avevano parlato. Fu un’esperienza per loro molto dura. Anche se poi, quando andarono a lavorare nel Brasile ancora sotto la dittatura, conobbero ben di peggio: due mesi di carcere con l’accusa di possesso di droga...».
Come nasce la sua storia?
«Conosco tanti che da piccoli sognavano di scrivere, suonare, dipingere. Ho sempre pensato che l’arte, in fondo, non sia una scelta ma una necessità. In Italia e, in generale nelle economie occidentali, oggi si parla in continuazione di crisi, stagnazione economica... Il potenziale creativo degli artisti tuttavia non è in crisi né in calo. Sono convinto sia, in fondo, la forza che ha generato il mondo. Penso dovremmo entrare nell’ottica che è fra le poche risorse per far esplodere un rinascimento anche economico».
Prima del Living?
«Ho studiato Scienze politiche alla Chapel Hill University, dove ho cominciato a interessarmi di arte e politica. Sia durante gli anni di studio che più tardi, a Boston, sono stato ideatore di diversi spazi simili a PerForm, comunità di artisti e istruttori di diverse discipline che condividevano una visione e uno spazio di lavoro collettivo».
Com'erano gli anni newyorkesi?
«Vi arrivai alla fine degli anni Ottanta durante l’aspra lotta degli artisti dell’East Village contro la “gentrification” (insieme dei cambiamenti urbanistici e socio-culturali di un’area urbana tradizionalmente popolare, risultanti dall’acquisto di immobili da parte di popolazione benestante - ndr). La comunità culturale, in senso lato, all’epoca stava a fianco degli attivisti anarchici, sentivamo di essere parte di un grande comunità. In questo contesto ho incontrato anche Shannon Gannon e David Life, i miei maestri di yoga. Avevano appena aperto una scalcagnata scuola in Union Square, la Jivamukti».
E lei...?
«Come tutti gli artisti non avevo un soldo, andavo ad aiutarli a pulire la scuola e a sbrigare le faccende amministrative in cambio di lezioni di yoga. Oggi la scuola Jivamukti è una delle più importanti al mondo, Shannon e David sono delle “superstar”. Ma lo spirito è rimasto invariato, anche loro sono creature del rivoluzionario, poetico, visionario East Village di quegli anni, che sono rimasti coerenti al sogno di mettere in azione le loro idee per cercare di cambiare il mondo. Loro sicuramente hanno cambiato quello dello yoga».
Come è approdato al Living?
«Ah... è facile diventare una Living Creature. Li ho incontrati per caso, grazie a un meraviglioso artista, Rain House, scomparso purtroppo qualche anno fa. Lui si era fatto il primo tour di “The Brig” in Europa nei primi anni Sessanta. Lo incontrai a Boston, per caso, e per caso fui introdotto a Judith. Ma forse niente è per caso...».
Che ricordi ha di Julian Beck e Judith Malina?
«Julian era appena scomparso quando incontrai il Living. Lei stava faticosamente ma testardamente cercando di rimettere assieme i pezzi della compagnia dopo il trauma della perdita di Julian. Judith è stata la mia grande maestra di vita. Il suo spirito di collaborazione, la fiducia, il rispetto e la curiosità che ha sempre avuto e continua ad avere nei confronti dei giovani mi ha colpito. Ho sentito la necessità di raffinare la mia arte, il mio pensiero e di trovare il modo più efficace di comunicare. E poi, che dire... ho lavorato come un mulo per Judith e per il Living per oltre vent’anni. Ma lei lavorava con noi, 24 ore su 24, sette giorni su sette per creare un’alta forma artistica capace e degna di veicolare i suoi ideali. Era e rimane per me più alto esempio di artista, attivista e rivoluzionaria.
Che cos'è il Living Theatre Europa?
«Direi una propaggine proteiforme del Living Theatre. L’abbiamo fondata quasi quindici anni fa con Judith Malina e Hanon Reznokov, secondo marito di Judith prematuramente scomparso nel 2008. Nacque come la casa europea delle iniziative della Compagnia e quando Judith decise di tornare stabilmente a New York iniziai a occuparmene io. Dopo anni di vagabondaggio si è fermata a Trieste, ha preso la forma di questa splendida nuova avventura: PerForm, il nostro spazio di arti performative e discipline del corpo».
Trieste come entra nella sua storia?
«”Colpa” di mia moglie, che è nata in questa regione... In realtà la mia prima volta a Trieste fu quando venni invitato quasi vent’anni fa da Aldo Vivoda, artista che stimo molto. Con mia moglie abbiamo deciso di trasferirci qui nel 2009. In questi anni ho collaborato con diversi gruppi, fra tutti il Gruppo Anarchico Germinal. A Trieste stiamo bene: era venuto il momento di decidere di fare qualcosa qui, dopo anni di vagabondaggio era il tempo di fermarsi.
Che cos’è “PerForm”?
«”PerForm” è un sogno che si realizza. Nella mia carriera ho condotto centinaia di laboratori, con migliaia di studenti in tutto il mondo. Ho deciso di fermarmi a Trieste per riuscire a dare una casa a questa lunga e preziosa storia errante. Mia moglie e io abbiamo costruito PerForm attorno al desiderio di dare forma e casa al meraviglioso network di artisti e istruttori di altissimo livello che in tutti questi anni hanno incrociato le nostre vite, personali e professionali. Abbiamo inaugurato i corsi il 22 settembre e domani, dalle 18, apriremo le porte del centro per un brindisi inaugurale con amici, studenti, sostenitori e “curiosi” per iniziare al meglio questa avventura».
L’obiettivo?
«Offrire, attraverso la pratica delle discipline del corpo e dell’indagine performativa, un percorso che avvicini all’equilibrio. Sarà un ricerca intensa, personale, divertente, gratificante. Promuoviamo un approccio libero, aperto a diverse influenze ma non necessariamente legato a dottrine o filosofie specifiche...».
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