mercoledì 22 febbraio 2012

QUANDO IL DISAGIO TI SFIORA, STORIE DALLE MICROAREE DI TS

Storie di povera gente. Storie di malattia e disagio non necessariamente mentale, ma anche “semplicemente” umano, sociale, economico. Storie disperate che a volte trovano piccoli, angusti spazi fra le pieghe della cronaca nera di questo come di mille altri giornali, ma che ora acquistano dignità di racconto e di testimonianza grazie al “Laboratorio di comunicazione” curato dalla psicologa Giovanna Gallio. Ne sono venuti fuori dieci fascicoli, messi assieme sarebbero un libro, pubblicati a Trieste nell’ambito del “Progetto fare salute” dell'Enaip Fvg e dall'Azienda sanitaria. Un progetto che si propone di raccontare, attraverso la voce e le testimonianze dirette dei protagonisti, «la pratica medica dei Distretti e delle Microaree, nella sfida che da anni, a Trieste, impegna gli operatori a sviluppare una medicina radicata nei luoghi, nelle case, negli habitat sociali». Che sarebbe poi come dire: intervenire nel più profondo del tessuto sociale di una comunità, integrando l’azione di chi - servizi sociali e sanitari, ma anche scuole, parrocchie, volontariato, società sportive, semplici cittadini - è presente sul territorio. E magari non è abituato a voltarsi dall’altra parte quando vede una persona che soffre, che ha dei problemi. Tante volte affrontabili, gestibili e spesso risolvibili senza il ricovero ospedaliero. L’idea da cui l’esperienza è partita è dunque quella di aprire un laboratorio «per sperimentare nuovi metodi di racconto della malattia, al fine di informare, descrivere, rappresentare i contenuti e le metodologie dell’intervento territoriale. Ricostruendo la storia di singoli casi, stabilendo confronti tra il linguaggio delle procedure sanitarie e la complessità delle pratiche, vengono evidenziati aspetti specifici che differenziano la “medicina di comunità” da quella ospedaliera». Ecco allora emergere le tante vicende raccolte da quell’osservatorio assolutamente particolare che è la sala operativa del 118 (“Storie dall’emergenza”). La storia del camerunense gravemente malato di Hiv (“Il paziente Amadou”), arrivato a Trieste in condizioni fisiche assai preoccupanti, e che aveva bisogno di un aiuto non solo sanitario. Il caso di un paziente al quale era stato diagnosticato il diabete in uno stadio particolarmente avanzato, ma che al momento delle dimissioni dall’ospedale non era in grado di badare a se stesso, e alla sua malattia, per problemi di solitudine, depressione, dipendenza da alcol, anoressia (“La malattia del signor Walt”). «La raccolta di materiali orali, così come l’elaborazione dei testi, serve - scrive la curatrice - a documentare il grado di coinvolgimento dei diversi attori: da un lato la dimensione affettiva del lavoro di cura (l’intensità e la frequenza dei contatti, le relazioni ravvicinate fra operatore e utente); dall’altro i dubbi e le scoperte, le incertezze e i conflitti come punti di forza di un intervento basato sul continuo confronto e sulla negoziazione; dall’altro ancora gli aspetti co-evolutivi di un sistema d’intervento protratto nel tempo, e l’importanza che assume la capacità e il potere degli operatori di esplorare i differenti contesti, tenendo conto di numerose variabili, determinanti di salute». Ancora Giovanna Gallio: «Soprattutto il racconto mostra gli interni delle case, le strade e i quartieri, gli spaccati di vita delle persone che, ammalandosi di una malattia grave, possono assumere un ruolo attivo o passivo, interpretando in modi diversi il cambiamento loro richiesto, di stili di vita e traiettorie della cura». Altro fascicolo, altra storia, altro dramma. La vicenda umana assai emblematica di una donna, cui il destino sembra aver voluto riservare, sempre e comunque, la parte peggiore della vita. Ne “I silenzi di Edda” (fascicolo “Storie di donne”), sbattiamo infatti contro la storia di una donna cui in passato erano stati diagnosticati dei disturbi psichiatrici e che era stata seguita per diverso tempo dai Centri di salute mentale triestini. Ma il suo male, forse, era cominciato molti anni prima innanzitutto con le botte subite dal marito, per concludersi molti anni dopo con il tumore all’utero che l’ha portata pian piano a spegnersi. Fra le violenze casalinghe, subite anche quando la coppia aveva avuto un figlio, e l’insorgere della malattia, la donna aveva trovato però il coraggio «di ribellarsi e andarsene di casa, lasciando anche il figlio, un bambino di otto o nove anni. Non avendo denaro né un luogo dove recarsi, era vissuta a lungo nei pressi della stazione ferroviaria, trovando rifugio di notte sui treni, mentre di giorno per guadagnare un po’ di soldi faceva la donna delle pulizie». Seguono l’intervento dei servizi assistenziali del Comune e di quelli dell’Azienda sanitaria, un piccolo alloggio (che Edda teneva sempre tirato a lucido, anche quando il male avanzava...) ottenuto dall’Ater nel rione di Ponziana grazie all’intervento della Microarea competente per territorio, il rifiuto del ricovero in ospedale quando il male affronta la curva terminale, l’incontro con il figlio ormai adulto (il padre violento nel frattempo è morto) che ritrova dopo tanti anni la madre e sceglie di assisterla fino all’ultimo... Una storia commovente, come tante altre raccontate nell’opera, tutte avvenute a Trieste, in questi ultimi anni, mentre ognuno di noi era sicuramente e legittimamente impegnato a fare qualcos’altro. Storie di cui la città - operatori sociali e sanitari ovviamente a parte - non si è praticamente accorta, ma che forse hanno pari o addirittura maggiore dignità di altre assurte agli onori della cronaca. --- I fascicoli curati da Giovanna Gallio nascono dalle attività del progetto “Microaree, salute e sviluppo della comunità”, avviato dal 2005 dal Comune di Trieste, dall’Azienda sanitaria locale e dall’Ater per l’integrazione dei rispettivi interventi e servizi. In quest’ambito tre enti pubblici si propongono di intervenire, come indicato dall’Organizzazione mondiale della sanità, con azioni coerenti e organiche in cinque settori: sanità, educazione, habitat, lavoro e democrazia locale. «Il fine è la promozione di benessere e coesione sociale - spiega Maria Grazia Cogliati, coordinatrice sociosanitaria di Ass1 -. Le aree triestine interessate dal programma sono Valmaura, Giarizzole, via Grego, San Giovanni, Melara, Gretta/Roiano, Ponziana, San Giacomo/Vaticano e Città Vecchia: interessano circa 15.000 persone».

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