Eccolo, Sanremo ai tempi della crisi. Le Olimpiadi non ce le possiamo permettere, ma il festivalone - con i deliri strapagati di Celentano - non ce lo tocca nessuno. Magari senza troppi fronzoli, possibilmente rispettando «la politica di contenimento dei costi voluta dall’azienda», comunque vai con il solito rito che niente e nessuno sembra poter e voler interrompere, con la scusa che è da oltre sessant’anni “lo specchio del Paese”.
Una breve “anteprima” dal camerino (anche l’attesa fa spettacolo, Sanremo è come quell’animale di cui non si butta via nulla...). E poi, venti e quarantacinque, tac, pronti e via. Subito dopo il tg, rompendo una consolidata tradizione di brodi allungati nell’attesa.
Si comincia con Luca e Paolo che guardano in lacrime le immagini della loro “Ti sputtanerò” dell’anno scorso, dedicata a Berlusconi e Fini. Ora rileggono “Uomini soli” dei Pooh (vincitrice proprio a Sanremo, nel ’90), dicendo che “ci manca tanto il cavaliere”, che “non si può fare satira davvero senza più la Carfagna al ministero”: insomma, “torni presto quel pelato”.
Venti minuti di puro cazzeggio, culminati con una rilettura di “Va pensiero” e l’imitazione dei lunghi silenzi di Celentano, evocato anche dalla scritta sulla lavagna: “Caro Adriano, avevi torto. La foca ha rovinato il Paese”. E chi vuol intendere, intenda.
Arriva Gianni Morandi, impeccabile nei suoi sessantasette anni tirati a lucido. È al secondo festival, punta al tris. Due parole di circostanza. Un balletto con le musiche di “Odissea nello spazio” giusto per gradire, gli auguri alle ballerine “che andranno alle Olimpiadi di Londra”: il Gianni nazionale dimentica che non si parla di corda in casa dell’impiccato.
Dopo quaranta minuti di tante chiacchiere e tantissimi spot, Dolcenera (che solo secondo Morandi “sta conquistando l’Europa”) è la cantante chiamata a rompere il ghiaccio. La sua “Ci vediamo a casa” prova senza successo a cantare la crisi, brano debolissimo. Meglio Samuele Bersani: “Un pallone” è una metafora vagamente swing di questa nostra Italia scassata e stanca, quasi stremata.
Finalmente il padrone di casa introduce Rocco Papaleo, che forma con Morandi la prima strana coppia (senza uno straccio di valletta...) di questa 62.a edizione. L’attore lucano, che l’anno scorso voleva partecipare come cantante ma non l’hanno voluto, si presenta in loden blu e cartella sotto il braccio: «Voglio lanciare un messaggio di sobrietà, sono un conduttore tecnico in linea col nuovo governo. Fossi venuto l’anno scorso, mi sarei presentato in vestaglia...». Poi propone di correggere il tormentone dell’anno scorso: da «stiamo uniti» a «stiamo tecnici, così si abbassa lo spread...».
Morandi è in vena di esagerare. Presenta la pur brava Noemi, azzardando che «la sua voce è stata paragonata a quella di Janis Joplin e Ella Fitzgerald». Per fortuna che “Sono solo parole” (firmata Fabrizio Moro e prodotta da Corrado Rustici) non è niente male: potrebbe puntare tranquillamente al podio. Sul quale rischia di salire anche Francesco Renga, biancovestito e piacione nel cantare da par suo, la sera di San Valentino, “La tua bellezza”: brano che incarna la classica retorica sanremese, che di solito qui funziona.
Bella e sprecata la voce jazz di Chiara Civello, finora più nota all’estero che in patria: la sua “Al posto del mondo” non le rende giustizia, è davvero pochissima cosa. La figlia di papà Irene Fornaciari continua a brillare di luce riflessa: “Grande mistero” è stata scritta per lei da Davide Van de Sfroos, che certo l’avrebbe cantata meglio.
Ma tutti aspettano Celentano. Alle 22.20, preceduto da immagini di guerra e di morte, facendosi strada fra comparse sdraiate sul palco, l’ex Molleggiato appare e incassa l’ovazione. Attacca il suo predicozzo, mischiando preti e vangelo (beati gli ultimi...), paradiso e “giornali inutili come Avvenire e Famiglia Cristiana” che andrebbero chiusi perchè scrivono di politica e non parlano di dio. Poi sotto con operai e povertà, alta velocità e treni che collegavano nord e sud, popolo sovrano e referendum.
L’apparizione di Elisabetta Canalis (“Come ti chiami?”, “Italia...”) e un paio di canzoni non riescono ad alleggerire la suprema pesantezza del tutto. Lo scambio di battute con Papaleo (“Non vorrei contraddirla, eccellenza...”) offre speranza, quello con Pupo e Morandi dà la botta finale a un’esibizione assolutamente delirante.
I sopravvissuti a Celentano (cachet di ieri sera: 350mila euro di soldi pubblici, e il fatto che li dia in beneficenza non attenua lo scandalo) hanno la possibilità di ascoltare i rimanenti cantanti in gara: Arisa, Eugenio Finardi, Pierdavide Carone, Marlene Kuntz, Nina Zilli, Matia Bazar, Emma, l’altra strana coppia D’Alessio e Bertè. Due dei quattordici sono stati fatti fuori a tarda sera dalle giurie.
Ma è stata una serata nel segno di Celentano. Forse ha ragione Francesco Renga, quando dice: «Cinquanta minuti senza interruzioni? Mi sembra eccessivo uno spettacolo di questa durata all’interno di Sanremo. Noi facciamo la cornice di Celentano. Direi che non contiamo una beata fava».
Nessun commento:
Posta un commento